Strage di Samarate, la lettera del padre al figlio sopravvissuto: “Voglio vederti in aula”

Secondo i periti l’uomo ha un disturbo di personalità, ma è capace di intendere e volere: “Ha rinunciato all’eredità della moglie per pagare le cure a Nicolò”

Alessandro Maja in un’udienza del processo in corso a Busto Arsizio per gli omicidi della moglie Stefania Pivetta e della figlia Giulia

Alessandro Maja in un’udienza del processo in corso a Busto Arsizio per gli omicidi della moglie Stefania Pivetta e della figlia Giulia

Samarate (Varese) – L’ultima lettera che Alessandro Maja ha inviato dal carcere di Monza è arrivata al figlio Nicolò ieri, nella casa dei nonni materni. "Ti ho visto alla partita del Palermo", scrive il padre riferendosi al match del primo maggio contro il Como, durante il quale il 24enne ha potuto incontrare la sua squadra del cuore. Poi esprime il desiderio di "salutarti per l’ultima volta", durante l’udienza del processo a suo carico fissata per il 19 maggio davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio.

È l’ultima di una serie di missive dell’interior designer 58enne, che ha ridotto in fin di vita il figlio Nicolò nella villetta di famiglia a Samarate la notte fra il 3 e il 4 maggio 2021, dopo aver ucciso la moglie Stefania Pivetta e la secondogenita Giulia, sorprese nel sonno e massacrate. Lettere con auguri e raccomandazioni, tentativi di informarsi sulle condizioni di salute, senza mai chiarire il movente della furia omicida, nonostante Nicolò abbia chiesto più volte al padre una spiegazione.

Il nuovo faccia a faccia potrebbe tenersi il 19 maggio, quando l’imputato e il figlio (parte civile) torneranno in aula. Una perizia di 50 pagine ha stabilito come Alessandro Maja sia, oggi come allora, capace di intendere e volere, e quindi in grado di sostenere un processo: il 19 maggio potrebbe essere ascoltato in aula, dopo la discussione sulla perizia. Il documento è stato depositato dallo psichiatra Marco Lagazzi, specialista incaricato dai giudici. Maja, viene messo nero su bianco, non avrebbe patologie tali da non ritenerlo responsabile degli omicidi e del tentato omicidio.

Una conclusione opposta rispetto a quella dei difensori, che avevano puntato sull’infermità mentale. Dalla perizia emerge che l’uomo soffrirebbe di un disturbo di personalità che non avrebbe però influito sulla sua capacità di intendere e di volere. Durante gli interrogatori, l’interior designer aveva riferito di aver sterminato la famiglia in un periodo di "ansia e angoscia", legata anche a problemi economici che "mi sembravano insormontabili".

La famiglia ha sempre respinto l’ipotesi di un gesto di follia. "Noi abbiamo sempre detto che era lucido – spiega Giulio Pivetta, che dal giorno della strage assiste il nipote Nicolò come un angelo custode – e che non c’erano mai stati segnali. Dalla giustizia ci si può aspettare di tutto, ma almeno questa perizia ha messo un punto fermo e lui dovrà assumersi tutte le responsabilità per quello che ha fatto, per le vite distrutte e per il dolore che ha provocato. Nicolò vorrebbe chiedere al padre spiegazioni, ma un incontro in carcere è ancora prematuro".

Alessandro Maja, difeso dall’avvocato Gino Colombo, ha rinunciato intanto all’eredità della moglie e, secondo il legale, "ha espresso il desiderio di dare subito al figlio 15mila euro per le cure". Cure che stanno proseguendo e sulle quali arrivano notizie positive dall’ospedale di Varese. La famiglia è stata contattata e presto verrà fissata la data dell’intervento per la ricostruzione del cranio, tappa fondamentale nella battaglia che il 24enne sta affrontando.