Saronno, morti in corsia: in aula la teste chiave su Cazzaniga

Parla l'infermiera che fece scattare l'inchiesta: "La cura? Per lui è egoismo". Solo organismi non pazienti"

Leonardo Cazzaniga

Leonardo Cazzaniga

Busto Arsizio (Varese),16 giugno 2018 - «Eutanasia». La parola ristagna nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arsizio tanto che il procuratore Gian Luigi Fontana chiede alla teste di confermarla. Depone Cleia Leto, 46 anni, l’infermiera, a lungo inascoltata, che con la sua segnalazione fece costituire la commissione d’inchiesta sull’operato di Leonardo Cazzaniga, medico anestesista e vice primario del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno. In seguito, l’esposto denuncia della Leto alla Procura di Busto avviò l’inchiesta “Angeli e demoni”. Teste dell’accusa e parte civile, accompagnata dal suo legale, Carlo Basilico, questa donna minuta ma dai lineamenti forti, capelli raccolti, giacchino color panna, pantaloni nocciola, è l’architrave del processo. Cazzaniga è accusato degli omicidi di undici pazienti in corsia e di quelli dei tre familiari, il marito, la madre e il suocero dall’amante Laura Taroni, infermiera nello stesso reparto. Clelia Leto parla per tre ore e mezzo. Tratteggia un ritratto senza sconti di Cazzaniga. «Era amato e odiato. Amato per la sua grande esperienza, odiato per i suoi atteggiamenti». Narcisista, ego smisurato, arrogante, ipercritico nei confronti dei collaboratori, soprattutto gli infermieri di origine straniera, dei soccorritori del 118, dei colleghi, «spesso volgare», al punto da porre domande anche sui costumi sessuali. In familiarità con due balordi della zona, che avevano accesso al pronto soccorso, agevolati da Cazzaniga anche per i farmaci. «Era cosa nota e abituale che assumesse ansiolitici e psicofarmaci in grande quantità, all’inizio del turno, prelevandoli dagli armadietti di corsia. Diceva di potere perché probabilmente era un malato psichiatrico. Un’altra volta ha detto che gli servivano per il suo cane, che stava morendo». Il “protocollo Cazzaniga”, somministrazione ai pazienti di farmaci in sovradosaggio (ansiolitici, anche anestetici e in qualche caso morfina9». Cazzaniga non ne fa mistero e in ospedale se ne parla. «Suo padre - dice il medico al figlio di un ricoverato - non può essere considerato un essere umano, è un organismo. Non sia egoista». «L’intento di Cazzaniga - saetta la Leto, rispondendo al pm Maria Cristina Ria - era quello di accorciare la vita alle persone». Clelia Leto lo vive per esperienza diretta in occasione del ricovero di due anziane. «Era il caso di una signora ultraottantenne che arrivava dalla casa di riposo. Io ero agitata perché era una delle mie prime gestioni in autonomia di un codice rosso. Cazzaniga disse al telefono all’operatore del 118 che se l’avessero portata al pronto soccorso avrebbe applicato il suo protocollo. Cercai di liberarle le vie aeree aspirando col sondino. Cazzaniga mi disse che ero egoista perché credevo di fare del bene e invece allungavo le sofferenze e che lui era favorevole all’eutanasia». «Nel caso dell’altra ricoverata ero agitata perché avevo appena fatto la segnalazione alla direzione.

Lui, a sua volta, era nervoso e aggressivo con me e con la malata. ‘Mi denunci, se uso questi farmaci?’, mi chiese. ‘Sì, la denuncio’, gli risposi. Mi minacciò: ‘Tu hai finito di lavorare’, ‘Ti ammazzo’, (penso professionalmente). Cambiò la terapia». I superiori sono a conoscenza. Tollerano, sminuiscono. «Il primario del pronto soccorso Scoppetta, il direttore medico, Valentini, la coordinatrice infermieristica, sapevano perché informati da me svariate volte. Non solo io, ma anche altri colleghi si lamentavano di quel modo di comportarsi». Dopo la morte di Angelo Lauria, uno dei ricoverati, Clelia Leto e il collega Radu Iliescu, nel giugno del 2013, si rivolgono separatamente alla direzione. La commissione d’inchiesta riconosce che i metodi di Cazzaniga non sono ortodossi, ma nella sostanza “assolve” il vice primario. Assistita dall’avvocato Basilico, l’infermiera prende la strada della denuncia penale. È il 20 giugno del 2014. Parla anche delle morti nella famiglia di Laura Taroni. «Dopo la scomparsa del marito, del suocero, della madre di Laura, cominciò a sorgere in me l’idea che quei decessi non fossero casuali». Nei giorni del ricovero di Luciano Guerra, il suocero, la Leto scorge Cazzaniga, che non è in servizio, appropriarsi in uno degli armadietti di una scatola di medicinale (che riconosce per Midazolam) e di una fiala che aspira e ripone nella tasca posteriore dei pantaloni.