ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Olga Granà, il figlio ricorda il femminicidio di 27 anni fa: “Mio padre è stato assassino e ladro dei miei sogni”

Giuseppe Delmonte ha fondato una onlus per aiutare i più fragili. E non smette di ricordare che in Italia gli orfani di femminicidi sono tanti e hanno bisono di tutele da parte dello stato

Olga Granà insieme al figlio Giuseppe, prima che lei venisse uccisa il 26 luglio 1997 a colpi di ascia dall'ex marito

Olga Granà insieme al figlio Giuseppe, prima che lei venisse uccisa il 26 luglio 1997 a colpi di ascia dall'ex marito

Varese, 26 luglio 2024 – Era il 26 luglio , come oggi, ma di 27 anni fa. Ad Albizzate, in provincia di Varese, Olga Granà, 51 anni, venne uccisa per strada. A colpirla con sette colpi d’ascia l’ex marito. Per Giuseppe Delmonte, il figlio che allora aveva 19 anni, è stata una tragedia, la più grande della sua vita. Ma non l’unica. Perché da allora se l’è dovuta cavare da solo e ha rinunciato a molto, anche ai suoi sogni. "La legge 4 del 2018, che dovrebbe tutelare gli orfani a causa di crimini domestici, fa acqua da tutte le parti. Dallo Stato non ho mai visto un risarcimento e neppure un aiuto per un supporto psicologico. In analisi ci sono andato solo nel 2017 perché me lo potevo permettere. È stato un percorso importante perché avevo vissuto nella negazione, in giro dicevo che i miei genitori erano morti entrambi in un incidente. A mio padre invece lo psicologo lo Stato glielo ha dato subito, ce l’ha ancora e gratis" racconta Delmonte, che oggi ha 47 anni e vive a Milano dove lavora in sala operatoria come strumentista. Non c’è rabbia nella sua voce, solo voglia disperata di cambiare le cose. Da tre mesi ha fondato Olga, onlus che porta il nome di sua madre, con lo scopo di promuovere i diritti dei più fragili, anche attraverso la sua dolorosa testimonianza nelle scuole. "In Italia gli orfani di femminicidio, secondo una stima delle associazioni, sono circa duemila. Ma non esiste censimento ufficiale: a dimostrazione di quanto il tema interessi alla politica", dice.

Delmonte, cosa si ricorda di quel sabato del 1997?

"A mezzanotte mia madre, che da quando si era separata cinque anni prima era vittima di stalking, aveva ricevuto una telefonata. Mio padre di giorno la pedinava e di notte la torturava con le chiamate. Però lei per tranquillizzarmi mi disse che qualcuno aveva sbagliato numero. Quel sabato mattina era uscita, io ero andato in palestra. Ho appreso del delitto, avvenuto attorno alle 11 del mattino, tornando a casa per pranzo. Sulla soglia di casa c’erano forze dell’ordine e telecamere. Pensavo fosse successo qualcosa di grave a un condomino, non volevo accettare che lei non ci fosse più".

Sua madre aveva denunciato suo padre?

"Molte volte, anche per minacce di morte. Fuori di casa mio padre sembrava un uomo irreprensibile ma il loro è sempre stato un matrimonio infernale. Lui era crudele anche con noi tre figli: ci faceva fare la doccia gelata, fra le regole della casa c’era il divieto di ridere. L’ultima volta che siamo andati in caserma è stato una settimana prima dell’omicidio perché stazionava sempre fuori dal supermercato dove andava lei. Ci dissero che non potevano fare nulla finché non faceva qualcosa di eclatante. Quando poi è successo è stato troppo tardi. Non do la colpa però alle forze dell’ordine, all’epoca non esistevano leggi sul femminicidio e lo stalking. Anche il Codice Rosso era là da venire".

Poi cosa è successo?

"Mio padre è fuggito per quattro giorni. Lo hanno acciuffato in Sicilia e poi condannato all’ergastolo. I miei nonni materni erano già morti, mia madre non aveva fratelli o sorelle. Dovevo arrangiarmi e ho fatto mille lavori per pagare affitto e bollette. L’università non me la sono potuta permettere. Mio padre, oltre che efferato assassino, è stato un ladro del sogno più grande che avevo: diventare chirurgo".