ANDREA GIANNI
Cronaca

Ikrame e i suoi tre fratelli: "Mamma uccisa, noi lasciati soli. Figli delle vittime senza sostegno ma ce la faremo, lo dobbiamo a lei"

Lei ha 27 anni, il più piccolo 15. Il 30 novembre 2022 il loro padre uccise la loro madre e da allora se la cavano da soli, nella casa della Barona: "Abbiamo perso tutto e nessuna istituzione si è occupata di noi, solo grazie al quartiere non siamo sulla strada"

Wafaa Chrakoua, originaria del Marocco, aveva 51 anni quando fu uccisa

Wafaa Chrakoua, originaria del Marocco, aveva 51 anni quando fu uccisa

MILANO – La casa alla Barona è piena di foto della mamma, sempre con il sorriso. I quattro figli hanno conservato i suoi vestiti, ogni giorno la ricordano. Per loro Wafaa Chrakoua era "come un sole", che attorno a mezzogiorno del 30 novembre 2022 è stato spento per sempre.

Quella mattina il marito, Bouchaib Sidki, ha ucciso la 51enne con 15 coltellate, epilogo di maltrattamenti proseguiti per anni. Da allora i figli - la più grande, Ikrame, ha 27 anni, mentre il più piccolo ne ha 15 - se la stanno cavando da soli, senza un supporto da parte di istituzioni locali o nazionali. Una situazione che li lega a tanti altri figli di donne uccise, nell’abbandono quando si spengono i riflettori. "Non vogliamo rimanere per sempre nel ruolo delle vittime – spiega Ikrame – giocheremo tutte le nostre carte per riuscire nella vita e raggiungere i nostri obiettivi. Lo facciamo per la mamma, è il nostro mantra".

Ikrame, come è organizzata la vostra vita?

"Io e mio fratello stiamo facendo da madre e da padre per i due più piccoli, che stanno studiando. Io mi occupo della scuola, mio fratello li accompagna in una fase delicata della crescita, in Barona è facile perdersi. Il più piccolo è una giovane promessa del calcio e punta ad arrivare in alto. Il sogno più grande di nostra mamma era quello di vederlo giocare in serie A, nel Milan. Siamo un nucleo familiare molto unito, è la nostra forza".

Avete ricevuto un supporto da parte delle istituzioni?

"Quando nostra mamma è stata uccisa, e la casa posta sotto sequestro, abbiamo rischiato di rimanere sulla strada. Nessuno si è preoccupato di dove potessimo andare a vivere, né il Comune né le forze dell’ordine. E all’epoca i miei due fratelli più piccoli erano minorenni. Siamo stati ospitati da vicini, i nostri amici hanno organizzato una raccolta fondi visto che eravamo rimasti senza niente. Ci ha aiutato il quartiere, la comunità, non lo Stato e neanche il Comune, che ci ha contattato solo un mese dopo il fatto. Grazie all’impegno del nostro legale, l’avvocato Raffaella Quintana che, unitamente all’avvocato Alberto Angeloni, coadiuvati dai colleghi Andrea Garofalo e Federico Lucariello, si sono occupati della difesa penale, l’avvocato Carmen Chierchia, che ha gestito tra le altre le problematiche legate all’assegnazione di una nuova abitazione (tutti avvocati dello studio legale DLA Piper, che pro bono si è messo a disposizione della famiglia, considerato che la vittima si occupava delle pulizie nello studio, ndr), Aler nell’arco di due mesi ci ha offerto una nuova casa, dove viviamo attualmente. Questa situazione non ci ha permesso neanche di elaborare il lutto".

Che cosa servirebbe per sostenere i figli delle vittime?

"Una rete di supporto che ora non esiste, una presa in carico totale perché queste sono situazioni d’emergenza, e anche un supporto economico. Le persone vanno accompagnate e rassicurate, perché vivono una situazione orribile. Poi c’è anche l’aspetto del lavoro. Quando mia mamma è stata uccisa vivevo a Parigi dopo un’esperienza in Corea, avevo un ruolo manageriale nell’azienda dove lavoro. Inizialmente mi hanno permesso di stare in Italia in smart working, ma la carriera si è interrotta. Questa situazione ha avuto e ha ancora un impatto devastante sulle vite di tutti noi, che sia il lavoro, la scuola, la vita sociale o la nostra salute".

Vostra madre, con un sistema di prevenzione diverso, avrebbe potuto essere salvata?

"Mia madre non denunciava i maltrattamenti perché aveva paura che potessero portarle via i figli. Servirebbe un sistema più efficace per proteggere le donne separandole fisicamente da chi le maltratta, per informarle sui loro diritti e fare in modo che non abbiano paura di denunciare".

Quale ricordo conservate di vostra madre?

"Era una persona che viveva per la famiglia, lavorava senza sosta per non farci mancare nulla. Era buona, sempre sorridente nonostante tutto quello che subiva. Due settimane prima della sua morte avevamo fatto un viaggio insieme in Marocco, era felicissima. Io poi sono tornata a Parigi, ci sentivamo al telefono tutti i giorni. Anche quella mattina l’ho sentita, le ho detto per l’ennesima volta di andare da un avvocato e divorziare. Abbiamo avuto una seconda chiamata poco prima di mezzogiorno, aveva litigato con nostro padre ed era molto tesa. Poi lui l’ha uccisa".

Da quel giorno lui vi ha contattato?

"Ci ha scritto una lettera dal carcere, scusandosi e sostenendo che non voleva farlo. Noi gli abbiamo risposto di dire solo la verità".