"Lidia ci chiede ancora una risposta. Non sprechiamo il suo sacrificio"

Caso Macchi, trent’anni fa il delitto. Le dediche sui libri, la fede e le lettere al fondatore di Cl. Così la ricorda la sorella Stefania

Lidia Macchi

Lidia Macchi

LIDIA MACCHI viene trucidata la sera del 5 gennaio 1987. È stata all’ospedale di Cittiglio, in visita all’amica Paola Bonari, ricoverata dopo un incidente stradale. Vive con la famiglia a Varese, nel quartiere Casbeno. Il 28 febbraio avrebbe compiuto 21 anni. Iscritta al secondo anno di giurisprudenza alla Cattolica di Milano, è caposcout e militante di Comunione e Liberazione, in corrispondenza epistolare con il fondatore don Luigi Giussani. Il corpo viene trovato la mattina del 7 gennaio alla località Sass Pinin, a poche centinaia di metri dall’ospedale, accanto alla Panda verde. La ragazza è stata massacrata con ventinove coltellate. Per l’omicidio di Lidia Macchi verrà processato Stefano Binda, oggi 49 anni, di Brebbia, amico di Lidia, suo compagno al liceo classico di Varese e come lei di CL. È in carcere dal 15 gennaio di un anno fa. Lo scorso 19 dicembre, il gup di Varese, Anna Azzena, lo ha rinviato a giudizio per omicidio volontario aggravato. Il processo inizierà il 12 aprile davanti alla Corte d’Assise di Varese.

Varese, 4 gennaio 2016 - Lidia, mia sorella. Quando Lidia Macchi muore, la sorella Stefania sta per compiere 18 anni, il fratellino Alberto ha solo 10 mesi. Ricorda Stefania: «Quando è nato Alberto, io ero in piena adolescenza e nonostante l’avessi desiderato moltissimo, dopo che è arrivato sono andata un po’ in crisi e come tutti gli adolescenti ero in contrasto con i miei genitori. Una sera, a letto, mi è venuto da piangere. Lidia mi ha sentita, e si è infilata nel letto con me e abbiamo incominciato a parlare. Io le ho raccontato le mie fatiche e i miei dolori. Alcuni giorni dopo mi ha regalato il libro ‘Il Piccolo principe’ con una dedica». Una lunga dedica scritta sul frontespizio del capolavoro di Saint-Exupéry. Anche a nome del piccolo Alberto, Lidia si rivolge alla sorella con parole di amore, tenerezza infinita, fede, incoraggiamento: «Nulla, nemmeno il dolore più atroce è privo di senso, perché rinunciare, perché sfuggire anche a questo segno grande e fantastico con cui il Signore viene a te, chiede a te, Stefania, di fidarti, di lasciarti amare in ogni istante della vita da Lui, è così semplice rispondere eccomi, anche nella notte più fonda, eccomi, sono tua prima di tutto, eccomi, nulla più mi fa paura. Questo è un grande momento per te ed io ti sono vicina, ma puoi rispondergli solo tu, non chiuderti nella tomba del dolore e poi cosa sono in fondo questi nostri miseri e piccoli dolori di fronte al mistero della nostra vita, della tua vita? Ci siamo fatti noi? E allora perché disperarci se Lui ama ogni nostro capello, ogni nostro sospiro, come possiamo credere che non risponderà a noi con la gioia della sua nuova vita? Bisogna essere molto semplici come il piccolo principe, è fantastico, prova ad incontrarlo. Un grandissimo abbraccio dalla tua sorellona e un bacetto dal tuo fratellino. Lidia e Alberto».  La comparsa di una nuova vita nella famiglia torna nel poscritto della lettera di Lidia a don Giussani, aggiunto l’8 marzo del 1986, il giorno della nascita del fratello. Lidia Macchi non ebbe il tempo di consegnarla, dopo la sua morte lo fecero i familiari. «È nato, è nato il bambino, lo chiamiamo Alberto, ed è così piccolo, fragile e pieno di vita che non puoi non incantarti a guardarlo. Io e il papà abbiamo assistito al parto, al miracolo che si presenta nella vita e piange e si agita, muovendo le minuscole manine e i piccoli piedini. Perché c’è ora anche lui tra di noi. Io non so, ma dolore e gioia sono in questi attimi una cosa sola, che senza uno non ci può essere l’intensità dell’altra. Lì io, in quella sala d’ospedale, stringendo forte la mano contratta della mamma, la vita mi è sembrata così sorprendentemente semplice e grandiosa che noi arrovellati e contorti riusciamo a gioirne solo in istanti eccezionali, mentre viviamo una vita intera ed ogni minuto può diventare un canto. E se questo è il centuplo quaggiù, che immensità è l’eternità?». Dice Stefania Macchi: «In una intervista di allora, un’amica di Lidia diceva: “Prego il Signore che non mi faccia passare mai il dolore per quello che è successo. La cosa peggiore sarebbe che fosse accaduto inutilmente”. Mi associo a queste parole. Lidia è rimasta presente in tutti questi anni e per come era fatta lei non ti lasciava tranquilla, era una che non si accontentava. Non ha lasciato tranquillo nessuno. Anche ora, quando si pensava che ormai la questione intorno al suo caso andasse nel dimenticatoio, si è riaperto tutto. Anch’io ho chiesto che la ferita non si rimarginasse per non sprecare nella mia vita il suo sacrificio».