
Altari e polvere, la storia lodigiana: dalla crescita inarrestabile delle aziende alle porte sbarrate ai sindacalisti (e al progresso) dei contadini “infeudati“.
di Giorgio
Bocca
Ai pranzi del Rotary si parla dell’agricoltura in crisi. E il vecchio Premoli racconta come la manodopera, a parità di reddito, costasse quattromila lire la pertica nel 1882, settemila fra le due guerre, tredicimila oggi. Però non spiega perché sia rimasta tal quale la produttività.
È così: gli agrari non spiegano o spiegano a modo loro le ragioni per cui nove vacche su dieci sono tubercolotiche; mancano le macchine; c’è stata la fuga del bestiame; gli edifici cadono a pezzi. Sono gli edifici a quadrato della cascina lombarda: la casa padronale al centro, di fronte l’ingresso, sicchè il fattore può controllare ognuno che entri.
Se viene di sera un sindacalista trova le porte dei contadini sbarrate: "Andate che il padrone non vuole". "No, gli uomini non sono in casa".
La cascina lombarda con le sue grandi tradizioni, la sede di una solida civiltà contadina. Ci fu un tempo in cui un permesso rilasciato dal comune di Lodi equivaleva in Lombardia a un passaporto britannico nell’età vittoriana "Lasel pasa ch’el ven da Lod". E ancora nell’ottocento questo era un centro di agricoltura prospera e di studio: "Ad Agostino Bassi - della botrite infesta al baco da seta - sagace scopritore".
Ma oggi? Oggi i proprietari all’altezza dei tempi, come i Pozzali e i Taurini, si contano sulle dita delle mani. Gli altri decadono e fanno decadere la città.
Quando avevano ancora voce in capitolo hanno respinto le offerte di insediamento di due grandi industrie. Poi hanno sabotato il piano regolatore e infine hanno perso l’occasione del
"miracolo", le cinquantatrè piccole aziende che si sono insediate nel circondario vengono tutte da Milano. Nella Lombardia che diventa maggiorenne Lodi ha un altro problema; quello di liberarsi dalla senescenza. In città vi è una borghesia professionistica intelligente e laboriosa; nelle scuole c’è una gioventù seria, a parere dei professori, più impegnata che quella di Milano; gli impiegati e gli operai sono pronti ad appoggiare la svolta, ma ancora non ci si decide, la prima amministrazione di centro-sinistra è caduta per i soliti contrasti personali.
La vecchia Lodi non comanda più, ma la nuova Lodi non ha ancora il coraggio di comandare; il ceto proprietario non detta più legge come ai tempi in cui tutto e tutti dipendevano da lui, il bracciante, il negoziante che vendeva al bracciante, il professionista che lavorava per il padrone o per i clienti del padrone; ma la nuova Lodi ha ancora un timore reverenziale, nessuno arrischia una polemica aperta, chi lo facesse sarebbe forse accusato di interessi personali o di "cattiveria " La città vive in una sorta di interregno. La piazza è piena di automobili, ma alle sette e trenta in punto passa quel proprietario e lascia cadere le elemosine nelle mani dei poveri. Doppie se c’è la messa da morto di un suo parente.