PAOLO GALLIANI
Servizi

Cibo e pace nel mondo. La lezione (dimenticata) per “Nutrire il Pianeta“

Messaggio di Caritas: una vecchia Cadillac assediata dal muro di baguette. E l’alveare del Regno Unito, l’agricoltura “a goccia“ di Israele e la Santa Sede.

Messaggio di Caritas: una vecchia Cadillac assediata dal muro di baguette. E l’alveare del Regno Unito, l’agricoltura “a goccia“ di Israele e la Santa Sede.

Messaggio di Caritas: una vecchia Cadillac assediata dal muro di baguette. E l’alveare del Regno Unito, l’agricoltura “a goccia“ di Israele e la Santa Sede.

di Paolo Galliani

MILANO

Il benvenuto? Iperbolico. Confezionato e impacchettato dentro il Padiglione Zero in formato kolossal con maxi-schermi televisivi e dodici sale allestite per ricostruire il rapporto millenario tra uomo e cibo, celebrare il mantra “Nutrire il pianeta”, denunciare lo sfruttamento delle risorse e accompagnare i visitatori verso il gioco di sponda tra i 50 Padiglioni e gli innumerevoli Cluster affacciati sull’interminabile Decumano e sul Cardo. Della serie: se la prima impressione aiuta, quella offerta dall’Esposizione Universale sembra decisamente promettente. Inizia l’esplorazione. E la prima sosta dovuta è nel piccolo spazio Caritas dominato al centro dall’opera “Voglia di pace” dell’artista Wolf Vostell: una vecchia e arruginita Cadillac assediata da un muro di baguette a rammentare il contrasto tra il lusso irragionevole e il pane “elemento di equilibrio”.

A pochi passi, la forte connotazione sociale di Expo sembra smentire il timore che si tratti principalmente di un gigantesco Luna Park del cooking show. C’è il Villaggio di Save The Children con l’invito esplicito a occuparsi dell’infanzia nei Paesi poveri. E c’è la tenuta agricola di Cascina Triulza sapientemente animata con laboratori per i più piccoli, stand sulla cooperazione e dibattiti sulla sostenibilità e sulla lotta allo spreco. È un attimo. La Repubblica di Corea si prende subito la scena con la frase “Quale cibo preferisci?” piazzata all’ingresso del padiglione, bianco cangiante, per illuminare i presenti sulle moderne consuetudini alimentari e sulla crisi planetaria del cibo. Ma è ancora più geniale quello allegorico e sensoriale del Regno Unito, con migliaia di piccole luci accese dopo il tramonto attorno ad un gigantesco alveare dorato, e con speciali effetti sonori a riprodurre il ronzio delle api per interrogare sulla follia di un mondo che rischia di perdere questi operosi insetti essenziali nella catena alimentare globale. Più in là, sul lato opposto del Decumano, sosta doverosa nel commovente spazio allestito dalla Santa Sede, capace di evocare i prodotti alimentari senza mai mostrarli, di proporre le immagini crude e senza filtri di un pianeta segnato da conflitti e disequilibri e di rinunciare alla retorica dell’Expo commerciale e gourmet preferendo segnalare il dramma di un’umanità alle prese con la disumanità. A fianco, una serie di padiglioni nazionali in gara per meritarsi i riflettori.

Quello in legno lamellare della Francia ispirato ad un luogo simbolo della cultura alimentare transalpina, il mercato coperto. Quello di Israele, con un grosso orto verticale a ricordare l’irrigazione a goccia per addomesticare il deserto. E quello ancora più ammirevole della Svizzera, con la domanda “Ce n’è per tutti?” piazzata a ridosso di costruzioni simili a silos agricoli per provocare riflessioni sull’ingordigia di alcuni a danno di altri. L’escamotage? Semplice: quattro torri colme di prodotti di cui potersi liberamente servire, ma con il significativo invito rivolto ai visitatori "ricordate che dopo di voi, verranno altri ospiti". Della serie: se vi accaparrate di un numero esagerato di confezioni solo perché sono gratuite, costringete chi arriva successivamente a non poterne godere. Con tanto di domanda offerta in dote ai visitors più distratti dell’Esposizione: “Hai paura di restare senza?”.

Non è finita. Le vele bianche della Germania attirano la curiosità generale con lo slogan “Be active”, siate attivi, abbinato a una serie di spunti sulla responsabilizzazione dei consumatori. E dopo l’impegnativo jet-lag attraverso i Continenti, un po’ di sano patriottismo al Padiglione Italia, con una texture esterna che fa pensare a una foresta urbana e quattro piani a rappresentare i punti di forza del Belpaese: il saper fare, la creatività, l’eccellenza, e poi la bellezza, la qualità della vita, la tradizione e la biodiversità. Ambizioso? Di sicuro. Ma un po’ troppo carico di contenuti. Poco male. Anche perché la coda degli aspiranti visitatori invita ad allungare il passo e a raggiungere la terrazza panoramica per godere dell’invidiabile affaccio sull’Esposizione Universale.

Senza scordare lo scenografico Albero della Vita posizionato alla fine del Cardo, faro cosmico e simbolico in acciaio e legno creato da Marco Balich che emerge dalla Lake Arena e che le proiezioni di luce e i giochi serali d’acqua trasformano in un totem protettivo di Expo. Serve una sintesi? C’è eccome, ancorché rintracciabile in una location talmente defilata da risultare un po’ penalizzata. Non importa. La dimensione low profile firmata dallo Studio Herzog&De Meuron è quella voluta da Slow Food. Si presenta come una costruzione piana e priva di vanità che compone un triangolo di edifici modulari dominato da un orto agro-ecologico, da una mostra sulla biodiversità e da un percorso didattico sullo sfondo di un messaggio educativo che diventa il manifesto di Expo: le scelte individuali si ripercuotono su tutto e tutti. E istintivamente, il gigantesco punto di interrogativo che il fiume in piena di visitatori disegna e compone tra l’interminabile Decumano, il Padiglione Zero e l’ingresso al metro Rho-Fiera ispira una domanda legittima: fra uno, cinque o dieci anni, cosa resterà di tutto questo?