La ricchezza della tradizione. Se la qualità è fatta a mano: "Un paradiso di vita e lavoro"

Il sistema economico e sociale della Brianza si regge anche su 21.500 aziende artigiane "Se hai capacità e voglia c’è mercato per tutti, ma ci serve personale e meno burocrazia".

La ricchezza della tradizione. Se la qualità è fatta a mano: "Un paradiso di vita e lavoro"

La ricchezza della tradizione. Se la qualità è fatta a mano: "Un paradiso di vita e lavoro"

"La Brianza vista da un artigiano, almeno dal punto vista economico, è quasi un piccolo paradiso. Non solo c’è una straordinaria tradizione, ma abbiamo la fortuna di operare in una delle zone più ricche d’Italia. Qui i clienti, che siano famiglie, imprese ed enti locali vogliono e sono disposti a pagare la qualità e non amano restare a lungo con le cose fatte male o a metà. Chi non spende dalle nostre parti per avere una casa dove tutto funziona o un giardino in ordine, i capelli sempre a posto, un’auto quantomeno presentabile, solo per fare un esempio? E poi nel raggio di mezz’ora di auto trovi tutti i fornitori che vuoi. Insomma, se sei capace e hai voglia di lavorare puoi guadagnare anche molto bene, ma ti restano almeno tre grandi problemi: accontentare tutti il più velocemente possibile, trovare il personale e affrontare la burocrazia. Il futuro, per ora, è dalla nostra parte: l’intelligenza artificiale può affiancare, ma non sostituire mai il lavoro di un artigiano".

Marco Accornero, 61 anni, segretario generale di Unione Artigiani Milano e Monza Brianza, scatta questa istantanea sul comparto: "In provincia girano numeri importanti. Sono nostre associate circa tremila ditte sulle circa 21.500 imprese artigiane attive in Brianza su un totale di 70mila aziende. Moltiplichiamo per il numero dei nostri dipendenti (mediamente tre) e per le rispettive famiglie: c’è un intero sistema economico e sociale di questo territorio che dipende dalle mani degli artigiani".

Eppure, il settore è a rischio: come lo si spiega?

"Prendiamo il caso del legnamè, dei falegnami, il mestiere artigiano simbolo della Brianza. Qui abbiamo probabilmente i più bravi d’Italia, sicuramente i più pagati e richiesti. Ma non si trovano più giovani disposti a imparare e sono sempre meno i figli di mobilieri che vogliono proseguire l’attività di famiglia".

Perché?

"Devi avere innanzitutto spazi adeguati e attrezzature ovviamente a norma. Se non le erediti o non hai la fortuna di avere le risorse iniziali, partire da zero è difficile anche se non impossibile. Ti serve necessariamente un aiuto anche fisico che spesso è la tua stessa famiglia, se è in grado di seguirti. Devi caricarti sulle tue spalle tutte le responsabilità: dal preventivo alla produzione, dalla sicurezza alla contabilità, alla formazione, alle consegne, al rapporto con le banche, i clienti e i consulenti, selezionarti o tenerti stretti i collaboratori, curare il marketing digitale, la burocrazia. Spesso non hai il sabato libero, i pensieri si accavallano e ti tengono compagnia anche nei momenti liberi. Insomma, sei un microimprenditore, sicuramente guadagni bene, ma hai le stesse esigenze di un’azienda strutturata senza le sue risorse, a partire da quelle umane. Il risultato è che tanti giovani guardano come hanno vissuto i genitori, i loro sacrifici e il loro impegno, e sempre più si orientano su una qualità di vita differente e con meno responsabilità. Nel frattempo, i titolari invecchiano - l’età media anche in Brianza è sempre più alta - e le imprese si estinguono, e con loro anni di esperienza e di saperi".

Con queste contraddizioni, quali prospettive per l’artigianato in Brianza?

"Bisogna tornare a promuovere il bello dell’artigianato tra i giovani e i giovanissimi: la creatività, il lavoro manuale, l’autonomia, le potenzialità economiche… Il made in Italy ha necessità ogni anno di centinaia di migliaia di artigiani e tecnici che non trova. Sta per partire una riforma che ridisegna la formazione professionale portandola a livelli di eccellenza con il collegamento diretto con gli Its. Nel territorio provinciale sono sorti progetti legati sia alla tradizione artigianale, modernamente interpretata, sia alla “green economy“. Vuol dire che a 20-21 anni sei pronto e competitivo per il mercato del lavoro e dopo qualche anno di gavetta hai la possibilità di metterti in proprio".