Un uomo da solo sulla vetta della seconda montagna più alta della terra, con un braccio levato al cielo e gli sci in mano: a volta basta un’immagine per cogliere l’essenza di un’impresa, di un sogno coltivato per tanto tempo e che esattamente in quell’istante diventa realtà per quel piccolo uomo in tuta rossa. Il drone pilotato da Ettore Zorzini ha colto il momento in cui Federico Secchi arriva sulla vetta del K2. Sono le 17 del 29 luglio, è senza ossigeno. Sull’affilata cresta che a 8.611 metri taglia il cielo del Karakorum, dovevano essere in due, e invece Secchi, (classe 1992) di Valfurva, maestro di sci e guida alpina, arriva in solitaria. Qualche ora prima, duecento metri più in basso, aveva salutato il compagno di mille avventure: Marco Majori (classe 1984) di Bormio, guida alpina e alpinista della Sezione Militare Alta Montagna del Centro Addestramento Alpino dell’Esercito Italiano, con la promessa di riabbracciarsi all’ultimo campo dal quale erano partiti. Mentre i due sono impegnati a rientrare in Italia dal Pakistan, emergono i dettagli di una una grande storia di amicizia e di passione infinita per le montagne.
"Siamo partiti da casa con un sogno condiviso tra me e Marco, due amici di sempre. Arrivare in cima insieme sarebbe stato il massimo che potessi immaginare, ma su queste montagne non siamo noi a comandare. Quando Marco ha deciso di scendere mi sono voltato, ho alzato il braccio e l’ho salutato - racconta Secchi - Ho stretto i denti e mi sono ripromesso che avrei provato ad andare in cima un po’ per tutti e due, per concludere quello che avevamo iniziato insieme. Essere arrivato lassù in cima da solo, vedere da una parte il Pakistan e dall’altra la Cina, non sentire nessun altro rumore se non quello del mio fiato e il sibilo del vento… ammetto che una lacrima mi è scappata. Sono questi i momenti che valgono una vita". Pochi minuti lassù e poi arriva il momento di scendere per sopravvivere. "Avrò sciato sì e no 300 metri, poi la neve complicata e crostosa, mista al buio che sopraggiungeva veloce, mi hanno convinto che fosse inutile rischiare". Secchi ridiscende in sicurezza la zona più rischiosa, quella del Collo di bottiglia, e raggiunge Marco a campo 4. Il giorno successivo le cose però si complicano. Il tempo peggiora. Federico riesce a trovare la direzione giusta e raggiunge il campo 3 dove inizia a sistemare la tenda in attesa di veder comparire Marco. Che, però tarda ad arrivare. In realtà la nebbia ha fatto perdere l’orientamento a Majori, che cade in un crepaccio lussandosi la spalla destra. A quel punto la solidarietà fra alpinisti fa il resto. Federico chiede aiuto attraverso la radio. Benjamin Vedrines e Seb Montez risalgono da campo 2 per l’operazione. Il giorno seguente partono all’alba, nella bufera per il campo base. Da campo 2 si forma, senza che venga richiesto, un team internazionale di soccorso senza uguali, tutti si sentono in dovere di fare qualcosa. "Marco viene seguito passo dopo passo da Federico, Ben, Seb, Silvia, Anna, Federica, Blatch, Liv, Seb, Matteo, Tommaso e molti altri, sino al campo base dove finalmente può considerarsi davvero fuori pericolo. Una cosa grandiosa, questo è il vero risultato, solo questo vale ampiamente la spedizione. Grazie umanità", scrive Secchi.