Tragedia della zip-line in Valtellina, il perito dei grandi disastri: "Dalle cinghie a freni e alert, va azzerato il fattore umano”

Gianpaolo Rosati, professore del Politecnico: "Per rallentare un corpo in viaggio a quella velocità ogni sistema dev’essere in perfetta efficienza"

Gianpaolo Rosati è professore di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano

Gianpaolo Rosati è professore di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano

Milano – “Oltre alla regolarità dell’imbraco, quello su cui punterei l’attenzione è il sistema frenante. Che, per ridurre la velocità da 120 chilometri all’ora a zero senza provocare danni a una persona dev’essere perfettamente efficiente". Gianpaolo Rosati è professore di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano; in qualità di perito del Gip si è occupato, tra gli altri, del crollo del ponte Morandi a Genova.

Secondo l’esperto, le indagini sull’incidente alla zip-line in Valtellina dovranno concentrarsi su tutti i sistemi di sicurezza dell’impianto. A cominciare, appunto, da come si ferma il carrello che piomba sulla stazione di arrivo.

Professore Rosati, com’è potuta accadere una tragedia del genere?

"Quello che colpisce molto in questo impianto è la velocità che si raggiunge: 120 chilometri all’ora. Per frenare un corpo che viaggia a quella velocità ci devono essere sistemi in perfetta efficienza. In caso di blocco improvviso o malfunzionamento infatti la sollecitazione a cui viene sottoposto il corpo umano è violentissima. Per questo, visto anche che l’incidente è avvenuto in prossimità della stazione d’arrivo, indagherei a fondo sul sistema frenante".

In base alle prime ricostruzioni pare che la donna sia scivolata fuori dall’imbraco dopo essersi fermata a pochi metri dall’arrivo.

"Se questo fosse confermato sarebbe inaccettabile. Un impianto di quel tipo, che vola a quelle altezze e a quelle velocità deve rispondere a standard di sicurezza elevatissimi. Che una persona esca dall’imbraco non deve essere possibile".

Potrebbe esserci un errore umano all’origine della tragedia...

"Il fattore umano gioca spesso un ruolo fondamentale, ma in una struttura come questa la possibilità che diventi decisivo deve essere ridotta al minimo, se non allo zero. Per esempio con dei sensori e degli allarmi che segnalino se l’imbracatura è chiusa male. Un po’ come accade con le cinture di sicurezza sulle auto quando non sono allacciate".

Tra le ipotesi c’è anche quella che, per un malore o per lo spavento, la donna abbia in qualche modo sganciato il sistema che la assicurava al carrello. Cosa ne pensa?

"Anche l’ipotesi di uno sgancio dell’imbracatura da parte del cliente in volo, volontario o conseguente a un malore, non può essere tollerata. Il sistema dell’imbraco deve essere indipendente dal comportamento di chi lo indossa. Altrimenti significherebbe avere a che fare con una macchina da suicidio. E non può certo essere questo il caso".

Professore, secondo lei cosa non ha funzionato?

"È presto per dirlo. Di certo però si apre una grande questione sui sistemi di sicurezza di questi impianti di divertimento estremi".