Emilio
Magni
Mi piace andare qualche volta a "fare quattro passi" senza pretese podistiche negli ampi campi del Pian d’Erba dove, tra l’altro, assisto con interesse all’evolversi delle faticose attività agricole, allo sviluppo delle colture: granoturco, patate, prati per la fienagione. L’altro giorno ho scoperto con piacere una vastissima distesa di frumento in crescita e mi sono compiaciuto. Il frumento era una novità.
Non lo vedevo più coltivato da anni nella pianura erbese. Ho pensato che, vista le difficoltà di approvvigionamento di grano causa la guerra in Ucraina, i "paisan" hanno pensato di tornare a coltivarlo, che bravi. Un vecchio contadino, vicino al campo, mi ha però deluso.
Mi ha spiegato che questo frumento, tra qualche mese, sarà completamente tagliato ancora verde per darlo alle mucche: "Siamo anche allevatori e questo foraggio fa aumentare la produzione di latte e lo rende migliore". Avevo sperato di vedere lussureggianti messi bionde mosse dalle brezze, come quelle di Van Gogh e macchiettate da tanti papaveri rossi come avevo visto tanti anni fa nei campi quando i contadini come mio nonno coltivavano il frumento in abbondanza. Mi è quindi tornato in mente i che un tempo i papaveri rossi del grano, dai contadini erano chiamati "populan". L’ho detto al vecchio contadino che mi aveva parlato e pure lui ha ricordato: "Quand serum bagaj i ciamavum populan". Anche se forse a Milano era poco usato "populan" è parola del dialetto milanese.
Lo riporta anche Francesco Cherubini nel suo dizionario. Alla voce "populan" infatti corrisponde anche "papavero". Ma ricordo ancora mio nonno che raccontava sempre la storia di quando, durante il fascismo i contadini avevano l’obbligo di consegnare "all’ammasso" una parte dei loro prodotti. Una volta un milite si lamentò con il nonno facendo rilevare che era troppo scarsa la quantità di fumento che consegnava: "Con tutti i campi che hai coltivato così poco frumento consegni?". Il nonno rispose brutalmente: "Ma che tantu e tantu. Eran pussé populan che furment".
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