Magni
Un amico, che sa della mia passione per il dialetto, ogni tanto mi coinvolge proponendomi termini o modi di dire che ormai sono quasi scomparsi e di cui è difficile risalire al significato. Ed ogni volta è un bel dialogare che, con qualche emozione, s’infila in un piccolo, grande mondo del dialetto dei tempi in cui il popolo parlava solo in dialetto. L’ultimo modo di dire che l’amico mi ha "tirato qua", è stato una botta tremenda di emozioni. Mi ha detto: "Ue te se regordett quand se diseva "pim, pum, pam, dö legur e un fasan"?". Questo assai curioso modo di dire, che in italiano suona "pim, pum, pam, due lepri e un fagiano", non lo ascoltavo più da un sacco di anni e quasi non mi ricordavo che una volta era spesso sulla bocca, soprattutto negli ambienti di lavoro. Voleva, in pratica, dire, "dai fa in fretta" o "facciamo alla svelta". Ripensandoci, dalle nebbie ormai assai folte in cui vaga la mia memoria assai vegliarda, mi è parso di rammentare che una volta questo "pim, pum, pam dö legur e un fasan", lo ascoltai in una bottega di falegname dove tra i trucioli, colle e le pialle, lavoravano alcuni apprendisti. Una volta un "legnamée", maestro del lavoro, ordinò a un ragazzo di tagliare a pezzetti un asse. Per fargli fare in fretta gli disse proprio: "Ue bocia….. pim, pum e pam, dö legur e un fasan". Il modo di dire in questione traeva spunto dalla caccia e vedeva come protagonista un cacciatore così abile che con soli tre colpi di fucile, in un attimo, uccideva due lepri e un fagiano. Performance che si racchiudevano solo in grandi fantasie che un tempo erano assai in voga: il mito dall’impresa impossibile. Comunque il modo di dire si adatta benissimo al concetto di "fare in fretta". Quindi era molto in uso. Occorre dire che però è un detto che punta sulla rima, proprio per fare effetto. Ve ne sono altri nel dialetto che guardano solo alla rima, per esempio: "L’è tua, l’è mia, l’è morta all’umbria", oppure "Avanti, indreé, Bartulumeé". Dicono niente, servono solo per intercalare allegramente.
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