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"Mahmoudi è capace e violento" L’omicidio nato dall’odio per il don

Per la Corte d’Assise il clochard tunisino si sentiva al centro di una cospirazione e temeva di essere espulso. Il ritratto tracciato dal pm: "Una persona aggressiva con tutti, ha scelto con coscienza di fare del male"

"Una persona aggressiva, violenta con tutti. Espulsioni, appelli, ricorsi, condanne. Quattordici anni inutili per arrivare a raccogliere il cadavere di chi lo aveva aiutato. Questa storia non doveva finire così". Al termine della requisitoria nella quale ha ripercorso tutta la sua vita in Italia, il pubblico ministero di Como Massimo Astori ha chiesto e ottenuto l’ergastolo per Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni finito a processo davanti alla Corte d’Assise di Como per l’omicidio premeditato di Don Roberto Malgesini, avvenuto la mattina del 15 settembre dello scorso anno.

Don Roberto era stato accoltellandolo ripetutamente. L’autopsia aveva evidenziato 25 ferite in varie parti del corpo: una profondissima sulla parte posteriore del collo, molte al volto, e poi quella letale, al polmone. Sferrate con un coltello da cucina acquistato a luglio in un supermercato, e conservato fino al giorno dell’omicidio. Il movente, come emerso fin da subito dalle indagini della Squadra Mobile di Como, stava nel senso di ingiustizia maturato per anni, anche nei confronti di don Roberto, da quando le sue pretese di rimanere in Italia, erano diventate sempre più vane: sarebbero state definitivamente stroncate il giorno stesso dell’omicidio, nell’udienza fissata davanti al Giudice di Pace, che con ogni probabilità avrebbe rigettato il suo ultimo ricorso.

Mahmoudi sembrava quasi disinteressato mentre il pubblico ministero ricostruiva la sua vita, il suo matrimonio fallito e sfociato in una condanna per maltrattamenti, la prima di sei condanne per aggressioni di vario genere, intervallate da altrettanti procedimenti amministrativi legati a decreti di espulsione e ricorsi. Ma quando in aula sono passate le foto del delitto, le immagini di quelle ferite dilanianti subite da don Roberto, e il video in cui, da lontano, si vede ripetutamente il braccio dell’imputato alzarsi e abbattersi sulla vittima, Mahmoudi si è voltato. Ha dato le spalle all’aula, e per lunghi minuti ha fissato il muro davanti a sé all’interno della cella. Si era ferito anche lui a una mano, durante quell’attacco violento armato di coltello.

Sanguinante, si era avviato verso la caserma del carabinieri, dove si era consegnato: "Apri la porta… siete traditori… ho ammazzato il parroco di San Rocco" aveva detto al piantone. "La questione della sua imputabilità è solo suggestione", ha detto il pubblico ministero, per sgombrare il campo dalle ripetute richieste e dubbi circa la salute mentale. "I disturbi mentali per essere riconosciuti devono annullare la possibilità di scelta. Disturbi di personalità e anomalie caratteriali non hanno nessuna rilevanza: Mahmoudi è un soggetto capace, sceglie con coscienza. La sua indole si chiama violenza, è quella che abbiamo visto ripercorrendo la sua storia".