La fitta di un bene perduto

Andrea

Maietti

Tel chì, ‘Ngiulìn: un vecchio amico rimasto a lavorare la terra, in una tenuta in riva all’Adda. Coltivatore diretto, secondo l’asettico lessico moderno; pitalö, ai tempi della poesia di nonno Battista. Forse dal francese petit, piccolo proprietario. Pochi campi, spesso non più estesi di una pissada d’asu, come diceva don Giuseppe da San Martino. Il nuovo lessico ("operatore ecologico" per spazzino, "collaboratrice domestica" per cameriera, e via elencando) vorrebbe ingentilire una professione: in verità la vernicia di grigio, con percettibile ipocrisia. Mi guarderò, amico, dal rimpiangere in toto la defunta civiltà contadina. Ho fatto in tempo a sperimentarne condizioni di vita al limite dell’umana decenza. Ritorna tuttavia, a quando, la fitta di un bene perduto. Come oggi, sul far di primavera, che già brilla nell’aria e profuma di allegro stallatico (el giüss) lungo il sentiero dove l’amico ha fermato il trattore. Pare di ritrovare qui il ritmo comprensibile dei giorni, il giro delle stagioni. Il ritmo perduto alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. I campi del mio amico ‘Ngiulìn si stendono tra l’argine dell’Adda e il crocchio di case del paese, tracimate dal campanile superstite. Niente più filari di gabe a rendere familiari gli orizzonti. E il prefabbricato della cattedrale, la grande stalla moderna dell’amico, non regge il confronto estetico con le vecchie stalle a volta d’antan, rette da colonne di granito, con i soprastanti fienili traforati in cotto. L’antica povertà si sposava al bello, il sopravvenuto benessere è stato pagato col brutto. "Sarà anche vero – dice ‘Ngiulìn, el pitalö –, però non si vive di sola poesia. Vorresti che tornassimo alle candele, alla malora di mio padre o, peggio, di mio nonno? Ciàppel!". E ridendo accenna il gesto dell’ombrello. È un tronco d’uomo, l’amico, con l’incarnato di un pomodoro a giusta stagione. Ri-avvia il trattore: "Credimi – dice –, ho voluto bene al cavallo bolso di mio nonno, ma trovo soavemente bello, oggi, il ronzare del mio trattore".