Il commercio si è ammalato di Covid In Lombardia 5% di negozi in meno

Dal 2019 a oggi hanno chiuso definitivamente 1.229 botteghe, solo Como registra un saldo positivo. A Brescia la crisi ha colpito gli esercizi di vicinato: "Negli ultimi due anni oltre 800 lavoratori disoccupati"

di Federica Pacella

Saldo negativo per l’andamento demografico dei negozi lombardi negli anni di Covid: nei capoluoghi lombardi, nel 2021 se ne contano 1.229 in meno rispetto al 2019, con una percentuale media pari a circa il -4%. Considerando il prolungato lockdown e gli effetti della pandemia sui consumi, il dato non è certo inatteso, anche se non fotografa la zona grigia composta da tutte quelle realtà che hanno retto durante la pandemia soprattutto grazie agli aiuti erogati, ma che sono in equilibrio precario. La fotografia, che arriva dalla territoriale bresciane di Confcommercio sulla basse dei dati dell’Osservatorio regionale del commercio di Regione Lombardia, nasconde poi delle importanti disparità tra province. C’è, infatti, chi chiude il bilancio positivamente, come Como, Cremona e Mantova che registrano addirittura un aumento di attività di vendita (grandi, medie e di vicinato) rispetto al 2019, e chi, invece, come Monza e Pavia hanno perso rispettivamente 263 attività (-16%) e 174 (15,9%) in un solo anno, tra il 2020 ed il 2021. Ampliando lo sguardo agli ultimi 12 anni, contrassegnati prima dalla crisi finanziaria del 2012, poi dalla pandemia, è Brescia, invece, la provincia che ha pagato di più in termini di perdita di strutture di vendita, soprattutto quelle di vicinato.

Dal 2010 al 2021, infatti, hanno chiuso ben 1.669 attività, il 34,6%, per un complesso di 4mila addetti in meno; ben 1.610 erano classificati come negozi di vicinato. "Si tratta di una media di 400 lavoratori all’anno rimasti senza occupazione – commenta il presidente di Confcommercio Brescia, Carlo Massoletti – quando chiudono imprese, anche più piccole, vediamo la politica, le istituzione scendere in campo per trovare una soluzione. In questo caso, tutto è avvenuto senza che fosse sollevato il problema". Varie le cause, dalla congiuntura internazionale ai profondi cambiamenti del mercato trasferitosi sull’online, ma anche la concentrazione di grandi strutture di vendita a ridosso della città, che hanno drenato il mercato fuori dal centro storico.

"Il dato – prosegue Massoletti – è certamente drammatico, anche perché tutti gli altri capoluoghi lombardi hanno sofferto in misura minore e, anzi, alcuni dal 2010 hanno addirittura incrementato il numero delle imprese del commercio". Milano, ad esempio, ha chiuso il decennio con un saldo positivo, 3.891 strutture (+16% nel 2021 rispetto al 2010): il trend è stato in crescita fino al 2019, anno dopo il quale si sono persi 489 negozi. Positivo il bilancio del decennio anche per Varese (+16%), Mantova (+3,1%) e Como (+12,1%), mentre, dopo Brescia, il calo più drastico è quello di Bergamo, con 746 attività di vendita in meno, di cui 738 negozi di vicinato, pari al 25% del totale del 2010. Al terzo posto, il -10% di Cremona, dove dal 2010, si sono perse 128 realtà.