Tragedia sul Gran Zebrù: valanga uccide due scialpinisti bergamaschi

Valfurva, tragedia a 3.600 metri al confine fra le province di Bolzano e Sondrio. Salvi gli altri componenti della cordata

L’intervento dei soccorritori

L’intervento dei soccorritori

Valfurva (Sondrio) - Sono stati travolti da una valanga mentre erano impegnati sul Gran Zebrù, sulla cresta al confine fra le province di Bolzano e Sondrio. Per due dei quattro scialpinisti bergamaschi che si trovavano sul versante altoatesino, a 3.600 metri di quota, sopra la zona conosciuta come “collo di bottiglia“, non c’è stato nulla da fare. Gli altri due, invece, che si trovavano sopra l’area del distacco, sono stati più fortunati dei compagni di cordata e si sono salvati: uno, dall’incidente, è uscito praticamente illeso, solo sfiorato, mentre l’altro è stato trasportato con l’elicottero all’ospedale di Bergamo e non è in pericolo di vita. Le vittime sono Oscar Cavagnis, 47 anni, di Vertova, ex ciclista professionista, con alle spalle nella carriera sportiva importanti risultati alla Parigi-Nizza e al Giro d’Italia, che abitava nella località in Val Seriana, e Fernando Bergamelli, 55 anni, di Pradalunga, 4.600 residenti, un altro centro della stessa vallata alpina, a pochi chilometri dal capoluogo orobico. Erano entrambi conoscitori dell’ambiente alpino.

Oscar Cavagnis Fernando Bergamelli

Dai sopravvissuti è partito l’allarme ai soccorritori, attorno alle 12.30 di ieri. Ma quando le squadre della VII Delegazione del Soccorso Alpino di Valtellina e Valchiavenna sono giunte nella zona, in supporto ai colleghi altoatesini di Solda coordinati da Olaf Reinstadler e ai militari del Sagf della Guardia di finanza della provincia di Bolzano, per due componenti della comitiva non c’era più nulla da fare. Una morte, probabilmente, per soffocamento, sotto l’imponente massa di neve che non ha dato loro scampo. Ora saranno i finanzieri altoatesini del Sagf di Silandro a indagare sulla dinamica della disgrazia su incarico della Procura di Bolzano che, nelle prossime ore, stabilirà se disporre l’autopsia o accontentarsi della semplice ricognizione cadaverica. "Mi hanno raccontato di essere partiti da Bergamo alle 4 – racconta Narciso Salvadori, il gestore del rifugio Forni di Valfurva – e hanno parcheggiato l’auto qui davanti. Alle 7 sono entrati per un caffè veloce e sono usciti dicendomi che ci saremmo rivisti alcune ore dopo, al loro ritorno. A un certo punto sono stati incrociati dall’alpinista Marco Confortola che, in montagna, era impegnato in uno dei suoi allenamenti giornalieri". Il Gran Zebrù, la più bella cima del gruppo dell’Ortles, una piramide di roccia e di ghiaccio alta 3.851 metri, è frequantato da tanti alpinisti che salgono soprattutto lungo la via normale dal versante valtellinese. Uno dei tratti più caratteristici è proprio il collo di bottiglia, un canale di ghiaccio (in estate è pericoloso per i crolli di roccia) che permette di accedere alla parte alta della montagna. All’uscita del canale ci si affaccia direttamente sul versante Nord. Lì deve essere avvenuta la tragedia. "Conosco bene la zona teatro della tragedia – spiega Ruggero Dei Cas, capo stazione di Valfurva del Soccorso Alpino della VII Delegazione di Valtellina e Valchiavenna che ieri non è potuto intervenire –. Probabilmente i quattro alpinisti bergamaschi stavano facendo la Normale che, per un tratto, è sul versante valtellinese. In occasione di altre slavine, queste quando hanno travolto gli escursionisti li hanno trascinati sulla parte altoatesina. E la stessa cosa deve essere successa stavolta".