Estorsioni in stile boss 12 anni ai fratelli Santini

I due imprenditori, titolari di un’azienda di trasporti ad Azzano San Paolo dal 2013 al 2017 si sono rivolti alla ’ndrangheta per recuperare i loro crediti

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La sentenza dopo oltre tre ore di camera di consiglio. Il processo che sì è celebrato davanti al collegio, presieduto da Patrizia Ingrascì, era uno dei filoni che ha preso corpo dall’inchiesta nata dal rogo dei 14 automezzi all’interno di una ditta di Seriate di autotrasporti nel 2015 (ci sono già state condanne nei vari gradi di giudizio). Qui si parla di estorsioni con metodo mafioso, come ha sottolineato nella sua requisitoria il pm della Dda di Brescia, Claudia Moregola che con il collega Emanuela Marchisio ha retto l’accusa a carico dei fratelli Santini, Alessandro e Carlo, titolari dell’omonima azienda di Azzano San Paolo, finiti in tribunale per una serie di episodi di estorsione e per aver incaricato, dal 2013 al 2017, alcuni soggetti in odore di ‘ndrangheta per recuperare i crediti vantati anche in maniera robusta nei confronti di alcuni clienti. Per Carlo Santini, 63 anni, condanna a 12 anni e mezzo (sei mesi in più della richiesta), e per Alessandro Santini, 58 anni, 11 anni, come chiesto dai pm. Per un’accusa relativa alla questione dei Rolex e dei gioielli che appartenevano a un debitore, i due fratelli sono stati assolti. Per alcuni episodi, non è stata riconosciuta l’aggravante di aver agito in più di cinque persone, ma in generale ha retto quella del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa. A processo erano imputati anche Demetrio Battaglia (chiesti 16 anni, è detenuto nel carcere di Reggio Calabria), calabrese, imputato anche di associazione per delinquere di stampo mafioso: per lui la condanna è stata di 15 anni e mezzo, con l’assoluzione per alcuni episodi. Felice Sarica era imputato di favoreggiamento. Calabrese con casa a Spirano, è stato dichiarato non punibile perché non parlò per non autoaccusarsi (i pm avevano chiesto 4 anni e mezzo, la difesa l’assoluzione). Alla base del processo i contatti con Carmelo Caminiti, calabrese morto in carcere nel 2020 e che per la vicenda delle estorsioni era stato condannato in primo grado a 12 anni e con Paolo Malara, calabrese anche lui, condannato in appello a 10 anni. Ma gli scenari ricostruiti dall’accusa e dalla difesa sono stati completamente diversi. Nella ricostruzione della procura i fratelli Santini "hanno chiamato qui i mafiosi, inquinando il territorio; non sono stati i mafiosi a fare toc toc. Nell’ambiente dell’ortofrutta tutti sapevano che Caminiti e Malara erano mafiosi". Gli imputati, sempre secondo l’accusa, sapevano dei metodi poco gentili. Non cosi per i difensori dei Santini, avvocati Beniamino Migliucci e Luca Andrea Brezigar. Caminiti venne presentato ai Santini dai colleghi del settore dell’ortofrutta come mediatore, per cercare altri clienti. Tramite lui spuntò Malara, presentato come ragioniere titolare di un’agenzia di recupero crediti di Milano.Francesco Donadoni