Dopo tre anni le reti ora tornano a riempirsi

I dati fanno ben sperare seppur lontani dal pre-Covid. E troppi “siluri“ si aggirano. nelle acque calde

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Per consolarsi di un 2022 che non promette niente di buono, dopo l’inverno più caldo e secco di sempre con il livello del Lario sceso oltre -20 centimetri sotto lo zero idrometrico, i pescatori si consolano con i dati positivi collezionati l’anno scorso. Per la prima volta negli ultimi tre anni la quantità di pescato è tornata a crescere: 114 tonnellate e 791 chili, un quarto in più rispetto alle 85 tonnellate del 2020 quando a influire furono anche i lockdown e le altre limitazioni anti-Covid.

Un dato che fa ben sperare, ma che è lontanissimo dalle 199 tonnellate toccate nel 2013, uno degli anni più pescosi per il Lario che da allora è diventato sempre più avaro di pesci, come dimostrano i dati della pesca scesa già a 145 tonnellate nel 2017, poi a 128 nel 2018 e 111 nel 2019. Per i pescatori la causa della mancanza di pesci è il livello ballerino delle acque del Lario, in parte dovute a cause naturali e in parte alle scelte degli enti regolatori che utilizzano il lago come una “banca dell’acqua“, aprendo le dighe quando gli agricoltori della Bassa Padana hanno bisogno di irrigare, senza curarsi troppo se i pesci sono in frega.

La buona notizia è che ad aumentare sono stati i pesci pregiati: i coregoni sono passati da 36 a 42 tonnellate, gli agoni da 22 a 33 per la gioia di tutti gli estimatori dei missoltini, il persico è passato da 15 a 20 tonnellate. Purtroppo è aumentato anche il numero dei pesci siluro pescati, passati da 2 a 3,5 tonnellate, segno che le acque sempre più calde favoriscono il proliferare di questa specie che si nutre, come un vero e proprio “spazzino del lago“, di tutte le altre.

Roberto Canali