Coronavirus, la moglie del medico di Novate Mezzola: "Il mio Mimmo non è stato un untore"

La vedova del professionista deceduto: quando avvertì i sintomi restò a casa e l’Ats arrivò a fare il tampone tardi, ormai era nella bara

Il tampone è arrivato giovedì ma quando era ormai tardi per il medico di famiglia

Il tampone è arrivato giovedì ma quando era ormai tardi per il medico di famiglia

Novate Mezzola, 4 aprile 2020 -  «Mio marito è stato un professionista stimato e amato da tanti mutuati, come testimoniato dagli innumerevoli messaggi di cordoglio che ricevo in questi giorni, morto sul fronte. È stato particolarmente sfortunato, è caduto nell’adempimento del suo dovere. È stato vicino ai suoi pazienti sino all’ultimo e non accetto che ora qualcuno in paese si permetta di dipingerlo come “untore”. Semmai è stato lui vittima di untori...".

È affranta Giuliana Viola, 64 anni, vedova del medico di base di Novate Mezzola, Domenico De Gilio, venuto a mancare a 66 anni una quindicina di giorni fa, ucciso dal maledetto Coronavirus, ma stretta nel suo dolore per la perdita dell’uomo che ha amato per tutta la vita si ribella, con fermezza, a certe affermazioni di pazienti di cui il medico condotto, negli 8 mesi di servizio in Valchiavenna, si è preso cura con dedizione e professionalità.

"Non dovevano venire in ambulatorio, sono stati loro la causa, altro che fare passare il mio Mimmo per un untore - dice la donna seccata -. Già allora c’erano i cartelli che invitavano i mutuati a non presentarsi. Loro venivano a fare salotto, i bar e i ritrovi pubblici erano chiusi e tanti, anche in 10, si ritrovavano in sala d’attesa, quando avrebbero potuto chiamare da casa. “Siete qui in 10 tutti vicini uno all’altro, non va bene“, disse un giorno lui.

Ma nonostante le cattiverie e le falsità delle solite anonime lavandaie, desidero ringraziare quanti mi hanno scritto usando belle parole e apprezzamenti verso di lui. Fui sottoposta a un delicato intervento e lui prese 15 giorni di permesso per assistermi: è stato il suo ultimo regalo. Esercitava a Campo, Novate e Verceia. Era felice: “Gli ultimi 2 anni prima della pensione sono qui, a 15’ a casa“. Siamo residenti a Chiavenna. Non si risparmiava con i malati, sempre disponibile con tutti. Non poteva operare da casa, però, in quanto a lui non era stata data dall’Ats una chiave digitale per accedere al computer e inviare dal domicilio le ricette.

Al lavoro non si è presentato febbricitante e con la tosse, non aveva neanche il raffreddore. Solo il venerdì si è fermato perchè cominciava a non stare bene: si preoccupava del troppo lavoro che avrebbe lasciato ai colleghi. Chiediamo all’Ats il tampone e ci dicono che sarebbero arrivati fra mercoledì e giovedì successivi. In effetti arrivano giovedì, ma quando era tardi perchè lui già nella bara. Prima avevo tentato io, inutilmente, di rianimarlo".