ANDREA
Cronaca

Beatles e nostalgie lodigiane

Andrea

Maietti

Torno sempre volentieri al teatro Carcano in Corso di Porta Romana. Non mette soggezione, tira cordiale aria di buona famiglia. E poi è stato il primo appuntamento teatrale dei miei sedici anni per "Assassinio nella Cattedrale" di T.S. Eliot. È lunedì 27 marzo. Stasera è di scena Carlo Verdone, opportunamente stuzzicato dal critico musicale Ernesto Assante. Il teatro è gremito, attirato – penso – più dalla simpatia del comico che dal titolo dello spettacolo ("Le mie canzoni"). In effetti, dopo la voce calda introduttiva di Lella Costa, appena in scena il sor Carletto prende a raccontare dei suoi amori musicali di ragazzo, con la verve meno jattante del nipotino liberatosi dall’ombra ingombrante di zio Albertone. I gruppi mitici degli anni Sessanta e Settanta, rivissuti con i ricordi dell’innamorato, non senza una sotterranea fitta di nostalgia. Le canzoni sono forse troppe, e un taglio sulle due ore e passa dello spettacolo avrebbe giovato, a favore di qualche battuta in più del sor Carletto. Il primo amore di Verdone, oltre alla personale vocazione di batterista autodidatta? I Beatles. L’attore possiede un quadro inseguito per anni e ispirato a Imagine. La confidenza mi riporta alla mia prima lezione al Liceo Scientifico di Lodi con il giradischi che aveva sorpreso la classe ("Madonna, ci fa sentire i Beatles", sussurrò Maddalena, dando di gomito a Monica nel primo banco). La commozione che aveva preso l’intera classe, trafitta dallo struggimento della canzone. Dovetti rompere il troppo silenzio, traducendo liberamente in dialetto il ritornello: "Pensa pür che son ciula Ma son no da per mì E duman cun nüm tüti Te sarè anca tì". Avrei tanto voluto che Verdone proponesse Yesterday, che portai a scuola dopo l’addio della "farfalla granata" Gigi Meroni, una grigia domenica d’ottobre del 1967: "Yesterday, all my troubles seemed so far away. Ieri, tutti i miei triboli sembravano molto lontani". La cantarono a voce bassa gli alunni, come sentissero che la loro primavera sarebbe presto diventata "Yesterday", una cosa bella e perduta. E suonava ineluttabile e quasi paradossalmente giusto che Yesterday non dovesse tornare più.