Roma, 3 giugno 2025 – “Una posizione che mi sembra del tutto priva di senso giuridico”. Il costituzionalista ed ex parlamentare Pd Stefano Ceccanti commenta così le parole con cui la premier Giorgia Meloni ieri ha annunciato che si recherà al seggio per non ritirare le schede elettorali. Professor Ceccanti, per onor di cronaca, formalmente che cosa significa andare al seggio e non ritirare le schede? “Dal punto di vista strettamente giuridico è esattamente come non andarci: l’effetto è non partecipare al quorum. Poi uno più trovare dei motivi politici, ma l’effetto giuridico è quello. Quindi non sembra avere molto senso. Una cosa è l’astensionismo selettivo, ovvero non ritirare le schede di alcuni quesiti in modo che non raggiungano il quorum. Ma andare al seggio e non ritirare nessuna scheda è come non andare”.

Rimane comunque certificata la partecipazione al voto col timbro sulla tessera elettorale? “Sì. Ti identificano, timbrano il certificato e verbalizzano quel che eventualmente vuoi verbalizzare. Ma non concorrere al quorum di nessun referendum è esattamente come non andare a votare. Una scelta illogica anzitutto dal punto di vista giuridico, che è il mio ambito di competenza. Poi, dal punto di vista politico, ciascuno può fare le valutazione che reputa più opportuna”.
Non si tratta appunto di una soluzione “politica”, per evitare di prestare il fianco alle contestazioni delle opposizioni sul boicottaggio del voto? “Dal punto di vista politico si tratta di un invito a non andare a votare rivolto ai cittadini, pur evitando di sottrarsi per ragioni di carica istituzionale”. Sarebbe risultato sgrammaticato nella festa per l’anniversario del referendum che ha fondato la Repubblica... “Sì. Non spetta tuttavia a me dare giudizi politici”. Il quorum non è comunque diventato la vera sfida politica tra maggioranza e opposizione sin al di là del merito dei 5 referendum, su cui il centrosinistra e lo stesso Pd vanno in ordine sparso? “Consideriamo in proposito che di 5 quesiti non ce n’è uno che riguardi leggi fatte dal Meloni. L’unico sarebbe stato quello sull’Autonomia differenziata, venuto però meno in seguito alla sentenza della Corte costituzionale. Sono rimasti i 4 quesiti sul Jobs act fatto dal centrosinistra e quello sulla cittadinanza, che riguarda una legge che risale al millennio scorso. Quindi è abbastanza ovvio che ci sia una problematica per gli elettori di opposizione, cui si chiede di votare contro leggi varate da un governo di centrosinistra e apprezzate a suo tempo come riforme di progresso”.
Fino a concorrere a boicottare il quorum? “Ci sarà una parte di opinione di centrosinistra che legittimamente non voterà i referendum sul Jobs act oppure voterà no: l’effetto dei quattro quesiti è sbagliato. Invece credo che ci sarebbe larga convergenza sul sì al dimezzamento da 10 a 5 anni – che in concreto significa da 13 a 8 – dei tempi per la richiesta cittadinanza, che mi pare più che doveroso. Ma questa è la verità dei fatti. Un appello all’unità dell’opposizione poteva tranquillamente esserci se fossero state sottoposte a consultazione leggi fatte dal centrodestra”. Invece si misurerà il livello dell’affluenza a prescindere dai risultati? “Io penso sia giusto abbassare il quorum dei referendum a metà più uno dell’affluenza alle ultime politiche, in modo da eliminare l’astensionismo strutturale. Ma al momento si vota con le regole che ci sono. E quando si scelgono strumenti bisogna saperlo fare. Vuoi dimostrare che sono minoranza nel Paese? Fai quesiti su leggi impopolari del governo Meloni. Così, invece, è difficile chiedere agli elettori di essere compatti”.