
di Guido Bandera MILANO Giuseppe Pasini è il patron di Feralpi, gruppo siderurgico presente in sette Paesi con 1.900 dipendenti, ma è...
di Guido Bandera
MILANO
Giuseppe Pasini è il patron di Feralpi, gruppo siderurgico presente in sette Paesi con 1.900 dipendenti, ma è anche alla guida di Confindustria Lombardia, che riunisce quindicimila imprese e nove realtà territoriali. Pasini affronta il tema dell’anno, lo spauracchio dei dazi americani e i rischi dell’incertezza in cui si dibatte il sistema economico.
Pasini, partiamo dai dazi americani. L’accordo è per un dazio del 15% all’Ue, con punte del 50 percento per l’acciaio, settore che lei conosce bene. Quale può essere l’impatto?
"I dazi sono uno dei problemi più seri su cui dovranno concentrarsi le forze economiche e politiche e che determineranno le prospettive dei prossimi anni. Siamo a una tariffa del 15% per le merci in arrivo dall’Europa. A questa, però, si somma la svalutazione del dollaro, che arriva al 13%, che è un implicito aumento di prezzo che si somma ai dazi. Siamo già al 23%. Le penalizzazioni più forti sono per settori come il farmaceutico, la moda, la meccanica. Tutti comparti ad alto valore aggiunto. Le imprese vivono una grande incertezza. In Lombardia, prima regione italiana per export, che vale da sola il 26% del totale nazionale, l’interscambio con gli Usa vale 19 miliardi di euro. L’export lombardo è di 14,7 miliardi, l’import di 5,25. Quanto alla siderurgia, che è colpita da tempo, il vero grande rischio viene dalla Cina. L’eccesso di capacità produttiva può riversarsi da noi, creando il vuoto. L’Europa non può stare a guardare e deve rispondere con una barriera, anche temporanea. Quanto i bassi prezzi dell’acciaio cinese siano il frutto di aiuti statali o dell’eccesso di capacità produttiva, non è chiaro. Ma dobbiamo proteggerci. Ricordo però che l’Europa resta un enorme mercato, con 450 milioni di abitanti, e che le imprese vorrebbero ora risposte concrete su temi decisivi, su quei dazi interni che sono burocrazia, iper-regolamentazione, costi energetici. Le imprese ci sono, vogliono competere e stanno già ricollocandosi, sfruttando opportunità di crescita in Asia e in Sud America. Ma gli ostacoli interni vanno abbattuti".
Ha citato il costo dell’energia fra i temi da affrontare per sostenere le imprese.
"Il problema è il frutto delle diverse scelte dei singoli Stati. C’è chi, come la Francia, ha scelto il nucleare e chi, come noi e la Germania ha puntato, forse troppo, sul gas. Ma il tema è anche fiscale: i ventisette Paesi membri hanno sistemi di tassazione diversi, che creano squilibri. L’Ue non può permettersi sistemi così diversi e concorrenza interna, come accade con l’Olanda. Adesso che un accordo con gli Usa è stato raggiunto, la Ue si concentri sul risolvere le pecche del nostro sistema, i ritardi, le inefficienze e le storture emergono e rischiano di favorire la Cina, che spicca oggi come una vera superpotenza economica. Io queste cose le ripeto, anche se molti non vogliono sentirle, ma sono la realtà che vivono quotidianamente tutti gli imprenditori".
Intanto l’Ue introduce una tassa extra sulle aziende oltre i cento milioni di fatturato...
"Secondo dati di Assolombarda, la tassazione europea sopra i 100 milioni di fatturato colpisce 1.600 aziende lombarde, costando 370 milioni di euro: siamo fra i più penalizzati. E il tessuto economico lombardo, fatto di Pmi di successo, paga di più di realtà con meno aziende, ma più grandi. Questo nonostante la peculiarità italiana, fatta di questo tessuto di aziende di dimensioni più contenute resista e performi meglio di altre realtà. Il gruppo Feralpi, lo posso dire io, ha reagito meglio al mercato di grandi realtà tedesche, più rigide. Infierire su un tessuto economico vitale e resiliente come questo è sbagliato".
Fra gli elementi su cui lei ha insistito, c’è anche la richiesta alla Ue di non togliere alle regioni il controllo dei fonti di coesione. Perché?
"Perché la distribuzione di quei fondi, che vanno a sostenere la crescita e gli investimenti in innovazione e formazione delle aziende deve restare nelle mani di chi conosce davvero i territori, le loro esigenze e le linee di sviluppo che servono alle imprese. La Lombardia ha saputo usare bene queste opportunità. Centralizzare la gestione dei fondi significa rendere quel sistema molto meno efficace e a rischio di sprechi".