
Rita e Giuseppe Poggi in uno scatto di qualche anno fa; nel riquadro, Chiara Poggi, assassinata a Garlasco nel 2007
Garlasco, 16 aprile 2025 – Amarezza. Smarrimento. Profonda delusione. Sono questi i sentimenti che provano i genitori di Chiara Poggi, Rita e Giuseppe, a oltre un mese dall’apertura della nuova inchiesta sulla tragica morte della figlia. Per loro la verità è quella scritta, in via definitiva, con la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna come esecutore dell’omicidio di Alberto Stasi, l’ex fidanzato della giovane assassinata diciotto anni fa nella villetta di Garlasco dove i Poggi abitano ancora oggi.

A raccontare dello stato d’animo dei genitori di Chiara è il loro avvocato, Gian Luigi Tizzoni, sentito dall’Ansa.
L’eterna inchiesta
"Non c'è un centimetro di questa vicenda che non sia stato esplorato. Abbiamo già vissuto sette anni di processo. È tutto un déjà-vu”, afferma Tizzoni. Che non esita a gettare una pesante ombra sui nuovi accertamenti. “Ci sembra più che altro un'inchiesta aperta per scagionare Stasi e trovare un colpevole alternativo – sostiene il legale – E siccome conosciamo gli atti processuali, tutto quello che sta accadendo ci lascia davvero perplessi. Anzi, non lo accettiamo, perché le sentenze finora pronunciate ce lo impongono".

È strenua, invece, la difesa della posizione del nuovo indagato (nuovo si fa per dire, dato che venne messo sotto accusa otto anni fa, per venire successivamente archiviato) Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara. “Questo modo di procedere al contrario, mettendo sulla graticola un ragazzo – afferma l’avvocato Tizzoni – per poi eventualmente chiedere la revisione del processo ci lascia a bocca aperta. In genere prima si chiede la revisione del processo e, nel caso in cui viene accolta, si indaga".
Rabbia e delusione
Insomma, Rita e Giuseppe Poggi sono stanchi. Per loro tutto è già scritto nelle sentenze che hanno giudicato Alberto Stasi colpevole dell’omicidio. L'avvocato Tizzoni parla di "amarezza" dei genitori di Chiara e di quel senso di "smarrimento", "choc" e "rabbia" di chi si è sentito violato nei propri sentimenti dopo aver saputo che, nell'autunno di due anni fa, qualcuno è andato a rovistare nella spazzatura della loro villetta per recuperare qualche reperto utile a un indagine che loro "non accettano".

"Si sono sentiti feriti come cittadini e come genitori - racconta l'avvocato - A parte il fatto che il loro Dna è disponibile già dal 2007, di certo non si sarebbero sottratti a una nuova acquisizione per ulteriori approfondimenti. Già in passato hanno messo a disposizione la loro abitazione, quindi questo stratagemma per raccogliere reperti li ha lasciati di stucco".
Riesumare, dopo averli raccolti nei vari archivi e laboratori, reperti da analizzare o rianalizzare per l'avvocato è un lavoro inutile che comporta anche un dispendio di energie e di denaro della collettività.
La “sostituzione” del perito
Quanto alla ricusazione del professor Giardina e la nomina di due tecnici che appartengono alla Polizia di Stato, Tizzoni è positivo: "Sono contento per ragioni di opportunità. Premesso che a noi vanno bene tutti, non ci saremmo mai aspettati che venisse messo in discussione un genetista come Giardina per una intervista che poi di fatto è stata una chiacchierata generica, quando anche questa nuova inchiesta è nata, in sostanza, da una intervista".
Soprattutto, sottolinea il legale, da un lato i pm pavesi "mostrano preoccupazione" per l'attenzione dei media sulla vicenda e "in aula ci hanno messo in guardia dal processo mediatico che poi hanno usato per ricusare Giardina".