"E se vi consegno Moretti?" Così iniziò la fine delle Br

Pavia, l’offerta improbabile di un rapinatore e l’appostamento a Milano. Il capo dei terroristi agli agenti il 4 aprile 1981: "Per favore, non mi sparate"

La scena del sequestro di Aldo Moro

La scena del sequestro di Aldo Moro

Pavia, 2 aprile 2021 - «Se non mi arrestate, vi faccio prendere Moretti e Senzani", dice il ragazzo. Orologi e calendari indietro di quarant’anni. In un ufficio della questura di Pavia sta trascorrendo una lunga notte, quella del 3 aprile 1981. Gli uomini della squadra mobile scrutano, perplessi, il giovanottino esile e ricciuto. Si chiama Renato Longo, ha ventisei anni, è di Asti. Dovrebbe finire dentro perché dalla sua città lo insegue un provvedimento di cattura per tentata rapina. Mentre transitava in corso Manzoni, è stato riconosciuto dall’appuntato Vincenzo Congestri, un poliziotto dal fiuto infallibile. Un equipaggio è stato mandato a perquisire l’alloggio dove Longo vive sotto falso nome. Non avrebbe voluto rivelarlo, ma l’indirizzo è stato scoperto perché sotto quel falso nome era stato controllato come testimone in un intervento per una lite fra vicini. Sono stati trovati dei documenti delle Brigate rosse. La proposta avanzata da Longo appare lo stesso inverosimile. Un maresciallo gli allunga un ceffone. Interviene il capo della Mobile, Ettore Filippi: "Un momento, sentiamo cos’è questa storia".

Longo estrae la chiave di un appartamento. Spiega che ogni sabato Mario Moretti, l’imprendibile leader militare delle Br e il professore genovese Enrico Fenzi (ma Longo crede che si tratti di Giovanni Senzani) tengono a Milano, in un alloggio in via Cavalcanti, i corsi teorici per le nuove leve delle Br. «I pezzi grossi dell’antiterrorismo – rievoca Filippi – credevano poco a uno sceriffo di provincia come me. A Milano, mentre salivamo sulle auto, il dirigente della Digos ci venne incontro e, seraficamente, ci disse: ‘In bocca al lupo. Se lo prendete avvertitemi’". Sabato 4 aprile. In piazza Caiazzo si appostano quindici fra agenti della squadra mobile con Filippi e della Uigos (come si chiamava al tempo l’ufficio politico provinciale), guidati dal dirigente. Caldo innaturale. Gente che passeggia. Uno degli agenti è andato a sedersi su una panchina e suona qualcosa con una armonica a bocca; dal banco di un fioraio si stacca uno dei garzoni, anche lui con una armonica, e cominciano a duettare. Nei bar la televisione trasmette Bologna-Inter, anticipo di campionato. Il dirigente Uigos, tifoso iuventino, si impossessa di una bandiera nerazzurra e si confonde fra i tifosi. Spuntano due "allievi" del corso, Silvano Fadda e Tiziana Volpi. Il terzo, Renato Longo, è assente non giustificato. Compaiono, con puntualità svizzera, Moretti e Fenzi. Moretti cammina come lo ha descritto Longo: in equilibrio sul cordolo del marciapiede. Sfiora un poliziotto senza accorgersi della Calibro 9 che spunta dai pantaloni.

«Aspettammo – ricorda Filippi – che Moretti si avvicinasse a uno dei palazzi, così da avere un percorso obbligato contro il muro e mentre uno degli agenti gli andava incontro, due lo raggiunsero alle spalle: ‘Moretti, polizia. È finita’. La sua reazione fu immediata: ‘Non sparate. Ho una pistola nella cintola e un caricatore in tasca’. Anche Fenzi era armato e si fece catturare senza problemi. ‘Per favore, disse, ho una protesi in bocca. Non picchiatemi’. Sembrava la sua unica preoccupazione. Una signora che aveva assistito telefonò al 113 per avvertire che c’era stato un sequestro di persona".

Compenso 60 milioni, 20 di acconto. Longo viene infiltrato per arrivare a Barbara Balzerani. Gli viene trovata una sistemazione in una pensione a Milano e poi in un appartamento a Pavia. Gli procurano una pistola. A Pavia rapina una oreficeria. Compie sei attentati incruenti, alcuni maldestri, fra Pavia e Milano, rivendicati con le sigle Brigata 4 Aprile e Nuclei di Avanguardia comunista. Nell’aprile dell’82 i carabinieri lo bloccano a Loano. Longo si racconta. Il commissario Filippi viene arrestato nel febbraio dell’83. Finisce nel carcere militare di Peschiera sotto il peso di 70 capi d’imputazione, fra cui complicità in rapina, porto di esplosivo, attentati. Odissea giudiziaria. Condanna in primo grado a un anno e 4 mesi, assoluzione in appello, confermata dalla Cassazione. Una storia da non dimenticare. Racchiusa in uno fotografia di gente scamiciata, sorridente, felice. Con una data: 4 aprile 1981.