
di Stefania Totaro
Erano stati arrestati, trascorrendo 6 mesi tra carcere e arresti domiciliari, condannati complessivamente a 14 anni di reclusione e a confische per 900mila euro perché ritenuti trafficanti di farmaci chemioterapici e commercianti di medicine avariate. Ora sono stati assolti dalla Corte di Cassazione, ma nel frattempo la società è finita in liquidazione. Un incubo durato 7 anni, di cui ancora pagano le conseguenze, quello vissuto da Giacomo Parolo, legale rappresentante della ‘Farmaceutica Valtellinese’ e dal suo dipendente Stefano Casagrande, rimasti coinvolti nel 2015 nell’inchiesta dei carabinieri del Nucleo anti sofisticazioni di Milano che aveva fatto scattare 19 arresti a vario titolo per associazione a delinquere, ricettazione, riciclaggio e commercio internazionale di farmaci rubati nonché commercio di medicinali guasti e sequestrato medicinali per circa 3 milioni di euro e beni agli indagati per circa 23 milioni ritenuti l’ingiusto profitto dei traffici dei medicinali ad alto costo, destinati alla cura del cancro e di malattie rare, rubati da grossisti o durante la consegna negli ospedali italiani e rivenduti all’estero, a volte senza essere conservati alle giuste temperature. Un’inchiesta, coordinata dalla Procura di Monza, partita da una società di commercio all’ingrosso di farmaci monzese, la ‘Equi-Farma’, il cui titolare, Massimo Rigamonti, farmacista monzese, ha patteggiato la pena di 3 anni e 8 mesi, mentre quella di 3 anni è stata concordata dal fratello Mario e infine a 4 anni ha patteggiato Giuseppe Aliberti, milanese con precedenti analoghi ritenuto dai carabinieri il promotore della presunta organizzazione criminale. Parolo, Casagrande e la Farmaceutica Valtellinese avevano scelto il dibattimento al Tribunale di Monza e nel 2018 sono stati condannati il primo a 8 anni e 4 mesi di reclusione, il secondo a 5 anni e 9 mesi e la società a una sanzione amministrativa.
Alle aziende farmaceutiche che si sono costituite parti civili, tra cui la Novartis, i giudici hanno riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, con provvisionali immediatamente esecutive per complessivi 908mila euro. Soldi da ricavare dalla confisca di immobili, beni mobili (tra cui una penna Mont Blanc), denaro contante e versato su conti correnti, che erano già stati sequestrati al momento del blitz dei carabinieri. Il Tribunale ha poi condannato gli imputati a un periodo di interdizione dalla professione commerciale.
Gli imputati avevano presentato ricorso alla Corte di Appello di Milano, che aveva confermato le condanne limando un po’ le pene. Nonostante lo stesso rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore generale milanese Cuno Tarfusser, ne avesse invece chiesto l’assoluzione. Lo stesso che poi ha presentato ricorso anche in Cassazione, sostenendo che mancavano le prove. I giudici romani hanno annullato la sentenza di condanna.