Monza, 26 novembre 2015 - Era un tipo "anomalo" Kamel Ben Hamida. Al Centro Islamico ci aveva messo piede lo scorso febbraio, appena uscito di galera e quel posto, dove incontrava tanti immigrati islamici come lui, pensava di utilizzarlo a suo piacimento. Per trovare clienti a cui vendere droga, magari, visto che questa era la sua occupazione principale quando bivaccava in zona stazione ferroviaria. Per trovare compagni di Jihad con cui vendicarsi della moglie che lo aveva mollato per un altro.
Per indottrinarsi – gratis – sugli ideali e le sanguinarie imprese dei suoi nuovi idoli del Daesh, o Isis o Stato Islamico che dir si voglia. Insomma, cercava un riscatto da disperati come in fondo lui era, incapace di trovare un lavoro, di tenersi la moglie che si era trovato ma gli aveva voltato le spalle. Anche se era stato grazie a lei e al ricongiungimento familiare che aveva ottenuto un permesso di soggiorno in Italia. E al Centro Islamico, all’inizio, Kamel ci andava persino per farsi barba e capelli nei suoi bagni, finché almeno non gli hanno fatto capire che non era proprio il caso, meglio per lui se cambiava aria...
Accade tutto in una stretta via della città, fra i campi, il vecchio stadio Sada e la chiesetta di San Gregorio. È qui, lungo il budello che è la via Ghilini, che trova posto un concentrato di culture e religioni di nicchia. Scientology, Testimoni di Geova, Evangelici, Ortodossi e, da dieci anni a questa parte, anche il Centro Islamico. Un vecchio edificio, in via Ghilini 17, dove persino i Testimoni di Geova infilano i propri volantini nella cassetta delle lettere.
Al Centro Islamico, del resto, la tolleranza è totale. Hossein Kechichen, 34 anni, tunisino, sposato da tre mesi, fa il segretario del Centro e il piccolo imprenditore: vigila sulla gente che frequenta il luogo, sulle attività religiose e non, sull’ortodossia - ovvero la buona educazione - di chi viene a raccogliersi in preghiera nella piccola sala ricoperta di tappeti che si apre dietro il portone del centro. Tempo fa, ha persino scacciato "i mercanti dal Tempio", vale a dire chi usava il Centro per vendere o scambiare merce.
E Kamel Ben Hamida, lui, se lo ricorda bene: "Un polemico, un tipo anomalo, non era un buon musulmano... Mi sono accorto in fretta che aveva altre cose in testa, l’ho sorpreso più di una volta a guardare video dell’Isis su youtube sfruttando la connessione internet gratuita che fornivamo ai fedeli. Quando me ne sono accorto, gli ho detto di smettere, anche se lui ha fatto finta di niente. E abbiamo adottato subito due misure, già dallo scorso aprile: via la connessione gratuita al web e chiusura della sala mezz’ora prima e mezz’ora dopo la preghiera. Insomma, non volevamo che divenisse luogo di incontro per attività d’altro genere rispetto alla preghiera e alla lettura del Corano". Kamel, del resto, aveva tentato di sfruttare l’ospitalità offerta dal centro islamico "per fini che non potevamo accettare", ribadisce Kechichen.
Era uno spacciatore, Kamel. Era finito in galera per questo, anche se ne era stato rilasciato abbastanza presto. "Lo abbiamo scoperto quando abbiamo ricevuto le lettere di altri due detenuti, compagni di galera di Kamel: avevano scritto al nostro indirizzo perché facessimo da tramite con il loro avvocato... Inaccettabile, aveva approfittato della mia assenza visto che ero tornato in Tunisia per qualche tempo... Al mio ritorno, siamo andati a informarci e abbiamo scoperto che faceva parte di una banda di spacciatori arrestata con 200 chili di hascisc".
Insomma, una ragione in più per mettere alla porta Kamel. "Un paio di volte, aveva provato a portare anche i suoi due figli al centro, noi tra l’altro prevediamo spazi per i bambini e le donne. All’inizio avevamo provato a capirlo, il Centro è un luogo di preghiera che deve accogliere un fedele anche se ha peccato e offrirgli la possibilità di pentirsi, ma quello che combinava non andava proprio bene...".