DARIO CRIPPA
Cronaca

La rivolta dei detenuti nel 1976 e la prigione di via Mentana messa a ferro e fuoco

Sovraffollamento, infermeria contestata dagli stessi medici, spazi fatiscenti. Dopo aver registrato 13 feriti e danni per 70 milioni si decise di farne uno nuovo

A sinistra un’immagine della rivolta al carcere di via Mentana del 1975 (foto Ferranti) e in alto a destra l’interno dell’edificio immortalato di recente (foto Rossi)

A sinistra un’immagine della rivolta al carcere di via Mentana del 1975 (foto Ferranti) e in alto a destra l’interno dell’edificio immortalato di recente (foto Rossi)

Monza, 23 marzo 2025 –  Anno 1976. Quasi mezzo secolo fa. A Monza è ancora in funzione lo storico carcere di via Mentana, al giorno d’oggi un rudere chiuso ormai da tempo e abbandonato in attesa di una riqualificazione che tarda a venire, un futuro ancora incerto.

Il vecchio carcere di via Mentana, a due passi dal centro storico, pur ancora in funzione in quell’estate di 49 anni fa, non se la passa troppo bene.

Sui giornali montano le polemiche, le condizioni in cui vivono i detenuti sono definite scandalose.

I giornali raccontano ad esempio di stanzette di quattro metri per due popolate da tre e a volte anche quattro detenuti. Anche il locale un tempo utilizzato per proiettare i film, fra i pochi svaghi concessi ai detenuti, una sorta di luogo a metà fra sala cinematografica e sala tv, è ormai occupato da 12 detenuti proprio per la carenza di altri spazi a disposizione in cui alloggiarli.

Non ci sono librerie, laboratori o sale per distrarre i detenuti, ma solo un parlatorio descritto come particolarmente angusto, mentre i servizi igienici sono vecchi e in condizioni precarie, tanto che gli stessi detenuti segnalano come a volte dalla fognature spunti indisturbato qualche ratto.

Le docce a disposizione della popolazione carceraria sono appena sei, l’infermeria è fatiscente e a denunciarlo sono gli stessi medici chiamati ad assistere i detenuti. Gli ultimi lavori di restauro risalgono al 1969, quando erano costati sette milioni e mezzo di lire stanziati dal Ministero di Grazia e giustizia. Poi, a parte qualche televisore e cucina gas, nulla di nuovo era entrato nel vecchio edificio roso dai tarli e dai topi.

Anche il tema del sovraffollamento, sempre attuale, anche al giorno d’oggi nella nuova casa circondariale di via Sanquirico, dove si contano oltre 740 detenuti per poco più di 400 posti (403 per la precisione), si fa sentire: nel vecchio carcere di via Mentana si contano nel 1976 un centinaio di detenuti a fronte di 45 posti. Una situazione esplosiva che provoca proteste e frequenti atti di ribellione.

Nel 1976 si trovano ad esempio a processo i 14 detenuti che l’anno precedente erano stati protagonisti di una rivolta costata addirittura settanta milioni di lire di danni: una rivolta scatenata involontariamente da un curioso episodio. Un giornalista, direttore di alcune riviste pornografiche, finito dentro per ragioni non ben specificate, aveva avuto una violenta lite con alcuni compagni di cella al termine della quale aveva ricevuto una coltellata e una sonora scarica di pugni. Soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria, il giornalista era stato riportato in cella, suscitando però le proteste degli altri detenuti: il timore che l’uomo potesse fare la spia denunciando i suoi aggressori aveva surriscaldato gli animi e i più esagitati avevano barricato il cancello di ingresso con brande, materassi e suppellettili varie. Nella confusione generale, alcuni detenuti avevano addirittura pianificato un’evasione, fino a quando non erano intervenuti i carabinieri lanciando alcuni candelotti lacrimogeni. La rivolta era stata alla fine sedata con un bilancio di 9 feriti fra i detenuti e 4 fra le guardie. I rivoltosi erano stati poi trasferiti in altre carceri in attesa di processo.

Il problema di un carcere ormai in condizioni fatiscenti aveva intanto spinto i detenuti a chiedere l’intervento di un magistrato e dei giornalisti. Non bastavano più le proteste che, incredibilmente, avevano visto più volte i detenuti arrampicarsi sui tetti per gridare a tutti la propria rabbia, approfittando non soltanto della struttura del carcere ma anche delle perenne scarsità di personale di guardia.

Lo stesso ufficio di igiene aveva appoggiato le proteste.

Il procuratore di Monza in servizio all’epoca, Luigi Recupero, che ricopriva anche il ruolo di direttore del carcere, aveva denunciato che a Monza c’era bisogno di una nuova struttura di reclusione più grande e moderna...

All’inizio, erano stati individuati come potenziale nuova sede in cui costruire un nuovo carcere alcuni terreni in zona San Donato. Era ormai tempo di dismettere il vecchio e anacronistico carcere di Monza, costruito all’inizio del ‘900 in via Mentana e progettato per la popolazione di quel tempo con sole 50 celle.

Alla fine, dopo molte discussioni, la giunta comunale aveva incaricato un ingegnere di scegliere un’area fabbricabile alla periferia di Monza, facilmente presidiabile dalle forze dell’ordine.

Nel 1982 la scelta era caduta sul quartiere Sant’Albino: nel 1986 era giunto il via libera della Regione, poi erano arrivate le ruspe e nel 1992 finalmente si era assistito all’apertura del nuovo penitenziario di via Sanquirico. Ma i problemi non erano stati risolti.