FABIO LUONGO
Cronaca

Sophia e il jazz, la libertà di improvvisare

La nipote d’arte Tomelleri protagonista oggi al Bosco delle Querce di Seveso con un concerto dagli anni Trenta ad oggi

Sophia e il jazz, la libertà di improvvisare

di Fabio Luongo

Quando si parla di nuove leve del jazz italiano il suo è uno dei nomi più gettonati. A nutrire questa notorietà in ascesa e l’apprezzamento sempre più diffuso sia da parte del pubblico che dei critici è stata anche la vittoria, tre anni fa, del Premio Massimo Urbani, uno dei concorsi internazionali più importanti per l’emersione dei giovani talenti del jazz, assieme alla pubblicazione del disco “These Things You Left Me“ del 2021, un album caratterizzato dall’essenzialità e dalla capacità di tenere assieme le sonorità tradizionali del genere con i sentieri più contemporanei del jazz, uniti a una brillantezza non comune.

La sassofonista e compositrice Sophia Tomelleri porterà oggi il suo intreccio di energia e malinconia, swing e riflessività, al Bosco delle Querce, per un concerto che dalle 11 la vedrà protagonista dell’evento “Jazz e botanica“ insieme al suo quartetto formato da Simone Daclon al piano, Alex Orciari al contrabbasso, Pasquale Fiore alla batteria, a cui si aggiungerà come ospite speciale Michele Tino al sax contralto.

Oggi è l’International Jazz Day. Cos’è per lei il jazz?

"Il jazz è improvvisazione tramite un linguaggio. Per comunicare con gli altri si deve usare un idioma: questo linguaggio nel jazz sono i suoi 100 anni di storia, un linguaggio che si è sempre rinnovato e che continua a farlo anche oggi. A me interessa potermi esprimere sul palco con la massima libertà, ma avendo un vocabolario definito che permette di improvvisare e di comunicare sia con gli altri musicisti in scena sia col pubblico. In tutto questo però non sono assolutamente tradizionalista: il jazz è sperimentazione a tutti gli effetti".

Cosa l’ha portata verso il jazz?

"La famiglia. Mio nonno (il celebre sassofonista Paolo Tomelleri, ndr) ha passato la passione per il jazz a mio padre che a casa ascoltava una vasta collezione di dischi. Ai tempi delle medie ho cominciato ad ascoltarli anch’io e mi sono appassionata. Ascoltavo prevalentemente quello, assieme a un po’ di classica perché suonavo il pianoforte. Gli altri generi con me hanno avuto scarso successo".

E come è passata dall’ascoltare il jazz al suonarlo?

"È successo praticandolo: è una cosa nata pian piano con lo studio".

Perché una persona dovrebbe farsi appassionare da questo genere?

"Mi ricordo che quando ascoltavo il jazz questo mi faceva sognare, mi faceva riflettere, mi faceva volare i pensieri. E poi la componente ritmica dello swing mi faceva sempre ballare. Ma questa è la mia esperienza personale. Mi piaceva anche la varietà, il fatto che la personalità di ogni musicista può emergere: il jazz non è mai uguale, è sempre diverso".

Quali sono i suoi punti fermi musicali?

"Nella tradizione jazz un po’ tutti, da Cannonball Adderley a John Coltrane. Negli ultimi anni mi sono appassionata al sassofonista americano Mark Turner e, soprattutto dal punto di vista compositivo, al trombettista Tom Harrell. Quando ho iniziato sentivo molto Bill Evans, Art Blakey, Wayne Shorter".

Cosa proporrete nel concerto?

"Saremo un quintetto, con ospite speciale Michele Tino: ci siamo conosciuti nell’Orchestra Nazionale Giovani Talenti e ci siamo subito trovati bene come affinità musicale e umana. Eseguiremo composizioni originali mie e di Michele, sarà jazz moderno, anche se spesso molti ci identificano come un quartetto-quintetto tradizionale. Diciamo che suoniamo nella contemporaneità con però una forte radice nella tradizione: quello che proponiamo arriva dalla storia del jazz dagli anni ‘30 a oggi, non ripudiamo niente di quella storia".