STEFANIA TOTARO
Cronaca

Schiavizzata con i riti voodoo L’odissea di una nigeriana "Mesi di botte e violenze"

Il racconto al processo contro la donna che l’ha costretta a prostituirsi. L’illusione di un posto da parrucchiera, l’incubo e l’incontro col suo salvatore.

Schiavizzata con i riti voodoo L’odissea di una nigeriana "Mesi di botte e violenze"

di Stefania Totaro

"Mi ha chiesto aiuto per sfuggire alla ‘madame’ che la obbligava a prostituirsi e io l’ho ospitata a casa mia, le ho comprato un telefono cellulare per sentire la sua famiglia in Nigeria e poi l’ho fatta mettere in contatto con un’associazione che le ha fatto presentare la denuncia e le ha trovato un posto sicuro dove riprendere la sua vita". Michele, brianzolo di 55 anni, è l’eroe che ha salvato dalla strada A., una nigeriana ora 31enne ridotta in schiavitù e costretta a vendersi sulle strade monzesi dopo il viaggio della speranza che avrebbe dovuto portarla in Spagna per lavorare come parrucchiera. Ora A. si è costituita parte civile al processo davanti alla Corte di Assise di Monza che vede imputata una connazionale 25enne, Kate A., che risultava latitante, ma ora si è scoperto essere residente in Germania, dove le è stato notificato l’inizio del processo a suo carico. I fatti risalgono al 2016. Secondo l’accusa la giovane, convinta a lasciare la Nigeria per trovare un lavoro e aiutare a mantenere la sua famiglia, dopo un lungo viaggio in cui aveva già subìto violenze, era finita nella trappola della connazionale, che la teneva segregata in un appartamento minacciandola di fare del male a lei e ai suoi familiari, la costringeva a dormire sul pavimento, a fare le pulizie e cucinare, lasciandola senza soldi e senza la possibilità di chiedere aiuto perché le aveva distrutto la sim del telefono. Uno "stato di soggezione continuativo" allo scopo di "sottometterla e piegarne la volontà" che aveva lo scopo di indurla a prostituirsi con la scusa di dover ripagare i 35mila euro per il viaggio. Nel settembre 2016 la ragazza era arrivata a Monza dopo essere partita dalla Nigeria, sbarcata a Trapani e poi trasferita in un appartamento a Sorisole, nella Bergamasca.

Fin da subito la 25enne aveva capito che la connazionale non le avrebbe trovato un posto da parrucchiera e che per evitare ripercussioni sulla sua famiglia, minacciata di subire del male con la magia nera, l’unica cosa che poteva fare per saldare il suo debito era prostituirsi in viale Campania a Monza. Ma alla fine del 2016 A. aveva incontrato un angelo brianzolo nel quartiere San Fruttuoso. "Ero andato con un amico a mangiare un panino e stavo tornando a casa in auto quando ho visto due donne che si picchiavano per strada e mi sono fermato – ha raccontato Michele –, A. mi ha chiesto aiuto e l’ho fatta salire e mi ha raccontato che era vittima da 3 mesi della sua ‘madame’ che la picchiava per farla prostituire". I particolari di quell’incubo li ha raccontati la stessa A. davanti ai giudici della Corte di Assise monzese e alla pm della Direzione distrettuale antimafia che procedono per il reato di riduzione in schiavitù, punibile con una pena fino a 15 anni di reclusione. "Non pensavo di venire in Italia – ha raccontato –. La mia famiglia aveva problemi economici e mio fratello mi ha presentato un contatto per andare a lavorare in Spagna come parrucchiera, un lavoro che sapevo già fare. I 35mila euro del viaggio li avrei ripagati un po’ per volta mentre lavoravo". La prima tappa è stata la Libia "dove un uomo armato ha tentato più volte di violentarmi" e poi lo sbarco in Sicilia e il trasferimento in un centro della Croce Rossa a Torino. "Lì ho comprato una sim e ho preso contatto con Kate, che mi aspettava a Sorisole in questo appartamento dove io stavo con lei e un’altra nigeriana in una camera, ma noi due dormivano per terra. Kate mi ha distrutto la sim del telefono e la sera mi ha accompagnato a Monza, mi ha consegnato un vestito succinto da indossare, dei preservativi e dei fazzoletti di carta. Io non volevo fare quel lavoro e i soldi li teneva tutti lei. Non potevo uscire di casa e mi picchiava con una cintura o una scarpa".

Un destino che sembrava ormai segnato. "Finché non ho conosciuto Michele, che si è offerto di aiutarmi. Quando chiamavo mia mamma in Nigeria piangeva e diceva di tornare da Kate perché li minacciava, ma io non l’ho mai fatto". A. si è invece fidata di chi ha voluto aiutarla e ha sporto denuncia ai poliziotti di Monza, che hanno identificato la ‘madame’ che, difesa da un legale nominato d’ufficio, non ha intenzione di presentarsi al processo. Ad ottobre la sentenza.