
di Dario Crippa
I genitori erano arrivati in caserma in una giornata di primavera di un paio di anni fa. I volti tirati, gli occhi rigati dalle lacrime.
"Aiutateci, nostra figlia di 17 anni si droga. Compra eroina alla stazione ferroviaria di Monza, qualche volta ce l’abbiamo portata addirittura noi per la disperazione…".
L’indagine dei carabinieri della Compagnia di Monza parte da lì, da quei due genitori disperati e dal briciolo di fiducia che ancora conservavano nelle Istituzioni. Ora il capitano Pierpaolo Pinnelli, che guida la Compagnia di Monza, telefonerà a mamma e papà: "Sì, li abbiamo presi, abbiamo smantellato la rete dello spaccio che rovinava vostra figlia". E ammorbava la stazione di Monza e i suoi giardinetti, corso Milano, largo Mazzini, via Borgazzi. L’operazione – denominata “Pick&Pay” – ha portato ieri all’emissione di 5 ordinanze di custodia cautelare. Per quattro persone: due cugini tunisini di 28 e 25 anni, un algerino di 41 e la sua fidanzata italiana di 32, residenti a Monza. Tutti in carcere, la ragazza ai domiciliari. Un quinto uomo, un marocchino di 36 anni, quello che pare procurasse la droga al gruppo, invece è sparito, latitante, probabilmente rimpatriato. E rimpatriato (ma a forza, dopo l’ultimo arresto nel 2008) è pure Mohammed Hachimi, marocchino, 54 anni, conosciuto sulla piazza dello spaccio come Bourghiba (dal nome – chissà perché – dell’ex leader politico tunisino): volto pallido ed emaciato, magrissimo, era arcinoto in stazione. Era lui fra l’altro a rifornire in buona parte la figlia dei due genitori da cui è partita l’inchiesta. L’inchiesta portata a termine ieri con l’esecuzione delle ordinanze firmate dal gip Cristina Di Censo è riuscita a smantellare quello che gli investigatori, coordinati dal pm Michele Trianni, hanno definito il “network“ dello spaccio di droga pesante del centro di Monza.
Un paziente lavoro fatto anche di servizi di osservazione e pedinamenti ha consentito di ricostruire il disegno: i due cugini tunisini, senza fissa dimora, gravitavano a Brugherio, e in un campo lungo la via Mornera nascondevano il grosso della droga. In pacchetti di sigarette occultati in mezzo ai cespugli e persino sottoterra (i militari sono stati costretti a scavare). Attraverso telefonate e messaggi criptati (“portami un litro di gasolio) su WhattsApp avvenivano le transazioni con i clienti, giovani e non. Le consegne venivano effettuate soprattutto dalla coppia, anche se ogni pusher aveva il suo giro di clienti (una dozzina a testa): nell’arco dei due mesi di indagine, ciascuno mezzo chilo grammi di eroina e 150 di cocaina.Messa in vendita a 20 euro il grammo l’eroina, la più economica; 50 la cocaina.
I pusher adottavano tutti i mezzi possibili per nascondere la loro attività, “Bourghiba” ad esempio era sempre pronto a infilarsi l’eroina sotto la lingua ed eventualmente a ingoiarla per sfuggire ai controlli.
I clienti pagavano. E quando uno aveva faticato a reperire il denaro necessario, era riuscito a convincere i suoi pusher di riferimento ad accontentarsi di una pizza e una birra.
Complessivamente sono stati sequestrati 300 grammi di eroina e 60 di cocaina. E 11mila euro in contanti.