
La manifestazione degli studenti del Parini dopo l’aggressione della loro docente
Seregno (Monza e Brianza), 25 gennaio – Insegnanti provocati, insultati e persino presi a botte. Prof sono in prima linea in quella che ormai è una sorta di “trincea educativa”. Se fino a pochi decenni fa il maestro e il professore godevano di uno status sociale, cosa è successo e come gestire studenti sempre più ribelli? Ne parla Damiano Arena, ex insegnante di sostegno del liceo Parini, esperto di comunicazione, ora docente in una scuola di Milano.
Professore, cosa è successo?
La società è completamente cambiata. Le famiglie sono cambiate: si vive di corsa, quindi passiamo molto più tempo noi insegnanti con i ragazzi, dei loro genitori. Perciò siamo in prima linea, nel bene e nel male. Siamo quelli che assorbono le “rispostacce“, ma anche quelli che riescono a entrare in confidenza con i ragazzi. I modelli sono cambiati: gli adulti di successo sono gli influencer. Quindi il docente che un tempo era rispettato, oggi è un “poveretto“ che guadagna 1.500 euro al mese. I ragazzi te lo dicono direttamente. Non ci difende nessuno e d’altronde, quando cedi all’aggressività hai già perso.
Come è cambiata la visione del mondo?
Noi adulti dobbiamo essere consapevoli che i ragazzi hanno una visione del mondo diversa dalla nostra. Vivendo in un clima di incertezza diffusa, non hanno prospettive e quindi vivono nel presente. Puoi chattare in tempo reale con una persona dall’altro capo del mondo, puoi ordinare immediatamente una pizza. Tutto è immediato. Quindi si abbandonano alle reazioni istintive e a volte anche violente, senza pensare alle conseguenze. Ecco perché le relazioni non hanno evoluzione: o sei buono o sei cattivo. Se dai un brutto voto sei cattivo.
E nel ’mondo’ delle classi?
Lo scorso anno su 18 studenti avevo in classe 23 nazionalità diverse. Impossibile? Se mamma e papà provengono ciascuno da un Paese diverso, il gioco è fatto. Ci sono i nordafricani che hanno il loro modo di vedere, diverso dai sud americani e dai cinesi, educati, ma con grosse difficoltà linguistiche, superate le quali sono spesso brillanti. I ragazzi arrivano a scuola con un forte disagio, senza punti fermi e il sentimento dominante è l’ansia. In tutto ciò, a 14 anni devono scegliere la scuola superiore, spesso condizionati dai desiderata dei genitori, dalle scelte dell’amico e dalla distanza. E succede che sbaglino la scelta. Forse a 13 anni non sono pronti per questa scelta. Dobbiamo avere tanta pazienza, non stancarci mai di cercare il dialogo; una battuta o un sorriso possono aprire la comunicazione.
Come si possono aiutare?
Cercando sempre il dialogo, stimolando in classe il lavoro tra ragazzi, sempre con la sovrintendenza dell’adulto. Il dialogo non deve essere solo con i ragazzi, ma tra i diversi agenti formativi: scuola, famiglia, società sportiva, parrocchia, gruppi di aggregazione devono fare rete per intercettare i bisogni e dare risposte multiformi.
Che differenza ha riscontrato tra le scuole milanesi e quelle della provincia?
In provincia il clima è ancora un po’ più tranquillo. Su Milano i fenomeni di aggressione e minaccia agli insegnanti sono ancora più frequenti. Ricordo bene e stimo il preside del liceo Parini e anche la collega aggredita: è tranquilla, preparata e attenta ai ragazzi. Non penso proprio che sia mancata l’attenzione agli studenti. C’è stato un corto circuito relazionale incontrollabile. In ogni caso hanno perso tutti: la docente che è rimasta davvero scossa: non so se riuscirà a tornare in classe; la famiglia che, infatti, ha ritirato il ragazzo; gli studenti che non vivono bene la scuola; i docenti che non si sentono al sicuro in classe e il preside che si sente nell’occhio del ciclone.
Se tornasse indietro rifarebbe l’insegnante?
Sicuramente sì. Mi ritengo fortunato, nonostante tutto, perché mi pagano per fare il lavoro che amo.