Omicidio di San Rocco, il legale di Gambino: "Non è il mandante. Solo chiacchiericcio"

Per le trenta coltellate inferte da parte di due baby killer di 14 e 15 anni il vicino di casa e rivale della vittima rischia la condanna a vita. Secondo l’accusa sarebbe stato lui a promettere soldi per l’omicidio

I carabinieri sul posto

I carabinieri sul posto

«La ricostruzione di questa intricata vicenda fatta dalla pubblica accusa è come un vaso perfetto con delle venature che, però, avvicinandosi, si rivela pieno di crepe e queste crepe rischiano di cambiare per sempre la vita di Giovanni Gambino". L’avvocato Stefano Gerunda sa che a rischiare di cambiare per sempre la vita del 44enne monzese suo assistito, imputato davanti alla Corte di Assise di Monza, è l’accusa di avere partecipato all’omicidio di Cristian Sebastiano, il 42enne amico e vicino di casa ucciso il 29 novembre 2020 con una trentina di coltellate sotto i portici dei palazzi popolari del quartiere San Rocco a Monza da due baby killer, R. di 14 anni e S. di 15 anni, che poi gli hanno rapinato 5 grammi di cocaina e, secondo la pm monzese Sara Mantovani, anche 1.000 euro in contanti della pensione di invalidità, perché sapevano che li avrebbe avuti in tasca. Per Giovanni Gambino, in carcere dall’aprile del 2021 per questa vicenda, la rappresentante della pubblica accusa ha chiesto la condanna all’ergastolo.

L’avvocato Gerunda ne chiede invece l’assoluzione, sostenendo che non ci sono prove per una condanna che rischia di durare una vita intera. I baby killer, reo confessi e in attesa di condanna definitiva, hanno sempre scagionato Gambino; R. ha detto di avere voluto solo rapinare la cocaina a Cristian ma diceva da giorni che lo voleva ammazzare; nel quartiere si è poi parlato della rapina dei 1.000 euro e di 2.000 euro che Gambino aveva promesso ai due minorenni per uccidere la vittima. "In questo processo molte domande non hanno ricevuto risposta - ha sostenuto il legale nella sua arringa difensiva - Perché R. non avrebbe dovuto volere uccidere Cristian per interessi personali e non per soldi, che non sono stati mai trovati? Quale interesse avrebbe potuto avere l’imputato ad uccidere Cristian? Tante persone sono state sentite al processo e le loro testimonianze non hanno portato ad indizi concreti che possano giustificare una condanna all’ergastolo". L’avvocato ha parlato di San Rocco come di "un quartiere difficile, zona di piccolo spaccio e di consumo di droga, abitata da alcune famiglie con ragazzi che hanno vissuto gravi problemi, che hanno causato loro problemi psichici.

Situazioni da cui non sono riusciti ad uscire nonostante l’intervento dei servizi sociali e del Sert". Un quartiere dove "tutti credono di sapere tutto di tutti", sostiene Gerunda, "dove un fastidioso chiacchiericcio si è trasformato in una fonte di verità tra persone in cerca di droga e di svago, per spacconeria o situazioni borderline, che hanno creato ancora più confusione". Il legale ha parlato di Giovanni Gambino come di "un assuntore di droga che vive alla giornata, senza lavoro né reddito e che porta in casa i ragazzini per scroccare una canna" e di Cristian come di "uno spacciatore ma persona benvoluta da tutti". Infine R.: "un tipo tosto, con gravi disturbi psicologici, che inizialmente lavora insieme a Cristian ma poi litigano e decide di eliminarlo per mettersi in proprio.

Si parla di litigi anche tra Cristian e Gambino, ma i due non hanno mai smesso di frequentarsi ed è da Gambino che la vittima si fa fotografare con i soldi quando prende gli arretrati della pensione che poi posta sui social. Quindi dei soldi lo sapevano tutti, ma perché Cristian avrebbe dovuto portarsi dietro 1.000 euro in contanti la mattina dell’omicidio, quando non è Gambino ma R. che prende appuntamento con Cristian per la droga ed è R. che chiama la vittima dalla cabina telefonica, tant’è che Cristian richiama lui e non Gambino. La droga rapinata, inoltre, se la dividono solo R. e S. e dei soldi non c’è traccia".

Si torna in aula il 12 aprile per le repliche della pm.