DARIO CRIPPA
Cronaca

Navigare tra i pericoli del web: "Ma i bimbi non sanno “nuotare“"

Uno su tre, fra i 5 e i 7 anni, usa lo smartphone e va sui social. L’allarme della specialista: "Mai lasciarli soli"

Navigare tra i pericoli del web: "Ma i bimbi non sanno “nuotare“"

Navigare tra i pericoli del web: "Ma i bimbi non sanno “nuotare“"

"Il 28% dei bambini in età prescolare, fra i 5 e i 7 anni, ha già accesso a uno smartphone, il 93% va su YouTube, il 59 accede a programmi di messaggistica come WhatsApp, il 33 ai social media". Dati raccolti dall’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo. Lo sa bene Valentina Decimi, chirurgo specializzato in pediatria e direttrice medico scientifica di Salvagente Italia.

È così preoccupante?

"Sì, e anche in Brianza, sulla base della mia esperienza di medico, la sensazione è che non ci si discosti troppo da questi numeri. Il web è un mare magnum di informazioni a cui accedono i bambini in diversi ambiti per cui non sono ancora pronti: dalla violenza al sesso, col rischio di entrare in contatto con persone malintenzionate".

Si spieghi meglio.

"Dal punto di vista dell’apprendimento, ad esempio, i bambini che accedono troppo spesso alla tecnologia presentano un ritardo di linguaggio. Perché la comunicazione necessita non solo di parole, ma anche di una serie di altri aspetti non verbali legati alla gestualità e alle emozioni. Una raccomandazione che facciamo sempre è quella di non consentire nessun accesso al web e a determinate tecnologie prima dei 2 anni. E anche dopo, di non lasciare mai da solo il bambino, ma di rimanergli accanto, perché ha bisogno di un’interazione, il bambino impara molto il linguaggio anche da gestualità e mimica".

Crescendo, sono guai.

"Con l’adolescenza possono insorgere problemi a livello relazionale, il ragazzo ha bisogno di interagire in presenza e non solo in maniera virtuale. Una stessa frase letta su WhatsApp o sentita e vista pronunciare faccia a faccia può assumere significati molto diversi. Altrimenti, il rischio è di non imparare a riconoscere sentimenti ed emozioni. Si spiegano anche così dinamiche come la violenza e la difficoltà a gestire la rabbia manifestate da alcuni ragazzi".

Tutta colpa del web?

"Ovviamente no, ma il web può amplificare e fare da cassa di risonanza a un disagio, accentuando un problema di natura sociale. I ragazzi si ritrovano a esprimersi solo online con tutti i rischi che questo comporta".

Come la perdita di contatto con la realtà...

"O la ricerca di affermazione: il web risponde a un bisogno di socialità, che soddisfa però in maniera anomala".

Le cronache parlano sempre più spesso di ragazzi che alimentano rabbia e rivalità sui social e commettono crimini.

"Il web offre la garanzia dell’anonimato e questo amplifica tutto, con atteggiamenti che possono andare dall’impulsività ai comportamenti criminali: si perde quel senso del limite che la socialità dovrebbe insegnare".

Il disagio si misura in numeri.

"Lo testimoniano gli ultimi dati Istat: ci sono 300mila ragazzi dai 12 ai 25 anni che soffrono di dipendenza da internet, il 10% che si dichiara insoddisfatto della vita, uno studio di Telefono Azzurro parla addirittura di un 23% di ragazzini che si sentono “persi”".

Fra i tanti temi, anche l’utilizzo delle immagini dei figli sui social.

"Anche postare su WhatsApp, Facebook o Instagram un’immagine innocente come il nonno che fa il bagno al nipotino è pericoloso. Quelle immagini nel momento in cui vengono condivide sono perdute".

E quindi...

"I siti pedopornografici si nutrono di immagini che nella stragrande maggioranza dei casi sono state fornite dai genitori".