
Il Bosco Bello
Monza - L’aria sembra fermarsi, l’orizzonte nascosto da cespugli intricati e rigogliosi. Carpini e querce sembrano allungare come braccia i loro rami a proteggere se stessi e i boschi alle loro spalle. C’è un’atmosfera ovattata, quasi magica, come in quelle giornate in cui sembra che il tempo si dilati e si trovi spazio per tutto. Poi, all’improvviso, un lieve rumore attraversa i rami frondosi. Ad accompagnarlo un cigolio di ruote che faticosamente si fanno strada. E una sorta di scampanellio.Se si è fortu nati e si ha coraggio a sufficienza per rimanere immobili a osservare, non è escluso che all’improvviso si riesca a scorgere una grossa massa informe e colorata avanzare fra cespugli. E se si mantengono i nervi saldi, potrebbero distinguersi suoni, contorni, colori. E capire all’improvviso cosa sta accadendo.
Sta passando un carretto, pieno di cianfrusaglie, ferri vecchi, carabattole. A tirarlo una coppia di asinelli, lenta e tenace. E a cassetta si distingue ormai chiaramente anche chi li sta guidando: una donna, avvolta in abiti larghi e sgargianti. Se si è rimasti fermi, si può anche udire qualcuna delle parole che sta biascicando, apparentemente sillabe senza senso. Solo un visitatore avveduto potrebbe capire con chi ha a che fare: la Matta Tapina.
È una leggenda misteriosa e inquietante quella che da secoli si tramanda a proposito di una creatura che si aggirerebbe in un punto particolare del Parco, chiamato Bosco Bello. Il primo a parlarne in uno scritto del 1841 è un medico, fisico e ufficiale di sanità, che aveva deciso di illustrare alcuni dei segreti e delle bellezze meno note del Parco: si chiama Giovanni Antonio Mezzotti, e nelle sue “Passeggiata nel Real Parco di Monza”, fa menzione per la prima volta di quella che era evidentemente una leggenda che si tramandava da tempo.
Prima di tutto, Mezzotti racconta qualcosa sul Bosco Bello: "Tutti i nazionali e gli stranieri visitatori del Parco Monzese ammirano il Bosco Bello; e in nessun altro parco sì d’Italia, che d’oltremonte asseriscono aver giammai incontrato una selva si maestosa con una serie di viste si sorprendenti. Crescono assai i pregi di questo bosco, per chi sappia che sino dal secolo XIV egli godeva di storica fama". Dalle aperture del Bosco – precisa – si coglieva interamente il paesaggio sino alle lontane montagne: "È d’uopo confessare che è difficile rinvenire un pezzo di consimile visuale, un si sorprendente panorama, e tutto ciò in mezzo ad un’annosa romantica selva…".
Il Bosco Bello portava però un tempo un altro nome: la Selva dei Gavanti "così denominata da un’antica e nobil famiglia Monzese in allora proprietaria", di grandi dimensioni "cinque miglia di circuito". Un luogo in cui la gente si ritrovava anche per fare festa. "La costumanza di una festa che si facea celebrare annualmente il 15 d’agosto nella chiesa dei devoti di Nostra Signora… vi si aggiunse una fiera di galanterie e di manifatture di que’ tempi… che fu frequentatissima". E in questa festa, si faceva musica e si danzava, con banchetti che potevano protrarsi sino a notte inoltrata. Ma le cose belle, per lo più, hanno un termine. Guerre, dominazioni straniere, carestie lasciano traccia indelebile. E anche la Selva dei Gavanti, ormai chiamata il Bosco Bello, cambia pelle. E diventa un luogo inospitale, "ricetto dei folletti". È allora che fa la sua comparsa la Matta Tapina, "di cui havvi tradizione che solesse recarsi in Monza di notte tempo a scorrere le contrade col così detto carro matto a spargere la superstizione e il terrore". Una strega a tutti gli effetti, e come tale portatrice di superstizione, paure spesso ingiustificate ma anche sapienza.
Abbigliata con vestiti dai colori sgargianti, si divertiva col suo carro a spaventare gli abitanti di Monza, ma manteneva anche i panni di guaritrice, esperta di intrugli ed erbe magiche. Secondo il racconto della gente, se si aveva il coraggio di raggiungere un determinato punto del Bosco Bello, isolato e fuori da sguardi indiscreti, era possibile incontrare la fattucchiera e chiederle aiuto, "conosceva tutti i segreti delle piante e dei fiuori che sapeva trasformare in unguenti miracolosi. Si racconta che otto i rami del Bosco Bello, nel punto più lontano dagli occhi della gente, i monzesi solevan chiedere alla Matta Tapina le cure per i figli, la famiglia e per gli amici". Una parvenza di questa leggenda è rimasta a lungo nei racconti dei Monzesi. Non a caso, può ancora capitare di imbattersi in qualcuno che rammenti un detto che in Brianza si riservava alle bambine vivaci e disubbidienti: "Mi sembri la Matta Tapina". E ancora oggi, il 12 settembre, nelle notti di plenilunio, si narra che nel Parco si aggiri un’ombra grande, smisurata, dalla quale si leverebbe un mormorio di parole senza senso e formule magiche.
(un ringraziamento alla poetessa Antonetta Carrabs, autrice di scritti e suggestioni dedicati anche in epoca recenrte alla Matta Tapina)