"Macché giro di soldi, non parlo una parola di italiano"

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"Il patron israeliano di Telit coinvolto nelle presunte distrazioni ai danni di Sem? Ma non parla neanche una parola di italiano". Lo ha sostenuto la difesa dell’imputato Oozi Cats ieri al processo al Tribunale di Monza per la presunta bancarotta fraudolenta di Bames-Sem, l’ex Ibm poi Celestica fiore all’occhiello della Silicon Valley brianzola e finita invece per chiudere i battenti nel 2013 lasciando a casa 850 dipendenti. Alla sbarra davanti ai giudici monzesi l’ex presidente e amministratore delegato di Celestica Luca Bertazzini, Vittorio Romano Bartolini, ritenuto con i due figli Selene e Massimo (già condannati a 4 anni e 8 mesi in abbreviato e al risarcimento per danno morale ad una settantina di lavoratori parti civili al processo, e ancora in attesa dell’udienza di appello) amministratore di fatto della Bames, un altro manager e tre professionisti membri del collegio sindacale. Oozi è imputato come ex amministratore di Telit Italia.

Sotto accusa un contratto di lease back e un finanziamento con cui Bames ha ottenuto circa 87 milioni di euro. Denaro che, in base alle ricostruzioni della Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Monza, è servito per acquistare partecipazioni in altre società e per finanziare altre aziende del Gruppo, mentre Oozi Cats è imputato di avere dissipato 16 milioni di euro ai danni della Bames a favore di Telit Communication attraverso la controllata Telit Wireless Solutions. In aula è stato sentito come testimone l’allora direttore di Sem Massimo Girani. "Nel 2008 venni chiamato da Vittorio Romano Bartolini ad una riunione con la dirigenza della Telit, con un certo Oozi Cats, a cui avevo dovuto fare da traduttore perché non parlava l’italiano – ha raccontato –. Telit voleva uno sconto sul prezzo della produzione ma era già risicato, siamo andati avanti due mesi a trattare, finché ho ricevuto da Bartolini senior, che si comportava come padre padrone insieme ai figli, l’ordine di firmare un accordo secondo cui Sem si impegnava a versare a Telit 3 milioni e mezzo di euro a distanza di tempo dopo che il processo di fabbrica fosse stato automatizzato. L’automazione portava a ridurre di circa 80 persone i lavoratori necessari e questo era in contrasto con l’impegno a riassorbire tutti i dipendenti ex Celestica, ma mi dissero di non preoccuparmi perché gli esuberi sarebbero stati occupati in altri progetti come il fotovoltaico".

Secondo un dirigente Telit sentito come difensore della difesa, invece, "a Vimercate avevamo trasferito strumentazione molto costosa e con Sem avevamo avuto problemi nella parte produttiva e di controllo della qualità che aveva creato ostacoli per l’evasione degli ordini. Nel 2008 le linee di produzione avevano provato a fermarsi e Sem diceva che era un problema di fornitori. Alla fine abbiamo dovuto trasferire la produzione in Cina e non è stato semplice". Si torna in aula a febbraio.

S.T.