Lissone, il Covid e la peste medievale

Il romanzo dell’ex maestra elementare Annalinda Buffetti: "Racconto il nostro passato per capire chi siamo oggi"

Lissone, il Covid e la peste medievale

Lissone, il Covid e la peste medievale

di Fabio Luongo

Una storia tra la Lissone del Covid e la Lissonum medievale del Trecento, ai tempi della peste. È la vicenda che si dipana nel romanzo “Ritorno a Lissonum“, ultima fatica letteraria dell’autrice lissonese Annalinda Buffetti. A portarla a studiare la storia della sua città, trasfondendola in una trama d’invenzione, è stato l’incontro con l’unica testimonianza fisica del Medioevo rimasta a Lissone, ossia la lapide del Duecento sotto i portici di via Loreto. Uno spunto che ha sedimentato a lungo e si è poi intrecciato con la grande passione di Buffetti per la scrittura. Originaria di Besana, Buffetti vive nella Città del Mobile dal 1975 e fino al 2014 ha insegnato come maestra alle elementari Tasso. Con la pensione ha iniziato a dedicarsi all’altra vocazione, quella letteraria, che ha preso corpo in una trilogia ispirata a storie familiari coi romanzi “Il finocchio selvatico sa d’anice“, “Il bambino delle fate“ e “La forma dell’aria“. Con “Ritorno a Lissonum“ ha invece messo in scena la vita brianzola nel Medioevo.

"L’idea del romanzo è nata tanto tempo fa – spiega –, quando nella mia classe venne lo storico locale Maurizio Parma a raccontare come si era formata Lissone. Ci aveva guidato in giro per la città, mostrandoci la pietra di Angiberto, la lapide del 1227 che si trova in via Loreto e che racconta come il podestà avesse fatto erigere una porta in quel luogo: è l’unica testimonianza fisica medievale rimasta. A chi arriva da fuori, Lissone dà l’impressione di una città moderna. Così mi è venuta la voglia di raccontare la storia di una famiglia lissonese del passato". Il romanzo si sviluppa su due piani temporali: il 1348, anno della peste a Lissone, e il 2020, l’anno del Covid, con "un parallelo tra due momenti lontani ma uniti da punti comuni inquietanti come la malattia – racconta –. Il protagonista è un Fossati, il cognome più antico in città: nel censimento del 1537 c’erano 59 famiglie e 11 erano Fossati".

L’uomo torna a Lissone dopo anni di lontananza, avendo ereditato la casa di uno zio: lì si trova bloccato dal lockdown del Covid e in mezzo ai tanti libri antichi accumulati dal parente si imbatte in uno scritto su una storia ambientata nel 1300, che parla di una famiglia dell’epoca che abitava proprio in quella stessa casa. "Fossati viene così spinto a cercare le proprie origini e radici, e nella ricerca del passato nasce in lui la consapevolezza di chi è oggi – dice la scrittrice –: quel che è successo nel passato ci segna e ci guida un po’".