
"Chi dice che non ha mai paura mente o è un incosciente. A fare il pompiere ci vuole anche quella, anche se il nostro inno recita ‘Il pompiere paura non ne ha’ e ne siamo fieri".
Ne ha viste tante in 41 anni di carriera Roberto Crippa, da qualche giorno in pensione.
Per l’ultimo addio, i colleghi gli hanno organizzato una festa con autopompe, autoscale e sirene.
Lui ride. Nato il 23 agosto 1963 e cresciuto ad Arcore.
"Sono entrato in questo corpo nel 1985, ma avevo iniziato già tre anni prima con il militare. Un mio vicino di casa che faceva il pompiere mi aveva trasmesso la passione per questo lavoro. E non ho più smesso".
Con un diploma da odontotecnico in tasca, Crippa ha passato il concorso, l’addestramento e ha iniziato subito da Monza.
"All’epoca era ancora un Distaccamento di Milano. Sarebbe diventato Comando Provinciale molti anni dopo, nel 2019“.
Poi tanti cambiamenti e trasferimenti, ma Monza sempre nel cuore, fino a metterci radici.
Tanti interventi, tantissimi interventi. Caposquadra ad appena 36 anni, Capo Reparto dal 2018.
Sempre dalla parte della gente.
"Ci vogliono bene, inutile dirlo. Sanno di poter contare su di noi. Me ne sono accorto anche con l’ultimo nubifragio".
Fine luglio. Sono ormai le ultime settimane di lavoro per Roberto Crippa e le sue squadre sono chiamate a intervenire nel più grosso disastro degli ultimi anni.
"Alberi e tetti sradicati dappertutto, il clima sta cambiando, fa sempre più caldo e quando ci sono queste eventi atmosferici siamo i primi a intervenire".
Cosa teme di più un pompiere?
"Gli incendi si spengono, ma con le alluvioni non puoi fare niente. E anche con i terremoti".
Nella testa ancora le immagini del terremoto in Abruzzo, nel 2009.
"Ricordo che era crollato tutto, e quello che rimaneva in piedi rischiava di cadere da un momento all’altro. Le case erano collassate. Cose che ti restano dentro. Un ragazzo era morto nella casa degli studenti e i suoi genitori vennero a chiederci se potevamo entrare a recuperare il suo computer in mezzo alle macerie. Dentro c’era la sua tesi di laurea, mi sembra di ingegneria: era l’ultimo ricordo che avevano di lui".
Era molto pericoloso...
"Proprio così, ma ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso che dovevamo provarci: eravamo in cinque, siamo andati a trovare quel computer, glielo dovevamo".
Le cosa che le ha fatto più male?
"Gli incidenti stradali. Quando vieni chiamato e devi tagliare le lamiere delle auto per liberare chi è rimasto intrappolato e purtroppo scopri che è morto. Ricordo ancora il primo caso. Un incidente a Brugherio quando avevo cominciato da poco questo mestiere: due ragazzini giovanissimi, morti. E lo strazio dei genitori quando sono arrivati sul posto. Ecco, ci tocca vedere purtroppo anche tanti morti, quelli più giovani mi hanno sempre impressionato".
Anche fra i colleghi...
"Strage di via Palestro, la bomba a Milano: non ero in servizio quel giorno, ma ogni anno partecipo alla commemorazioni delle vittime. I colleghi erano anche degli amici".
Un bel ricordo?
"Un palazzo altissimo, una bambina di appena 4 anni era rimasta chiusa in casa, la mamma era disperata. Chiesi il suo nome, si chiamava proprio come la mia bambina, aveva la sua stessa età. Mi calai dal diciassettesimo piano ed entrai a prenderla, la chiamavo con il suo nome per farle coraggio, mi sembrava di parlare con mia figlia. Alla fine sono riuscito a raggiungerla: era spaventata, ricordo ancora il suo sorriso perché aveva capito che era tutto finito".
Pronto per smettere?
"È stato un bel viaggio ma sarei rimasto ancora, l’autopompa mi mancherà, la vita in caserma. Il lavoro è cambiato molto nel tempo in Brianza: un tempo c’erano tante cascine e alle volte ci toccava intervenire quando andavano a fuoco. Ricordo ancora le tavolate di salumi e formaggi che ci servivano i contadini quando avevamo finito il nostro intervento. Oggi sono tutti capannoni e per fortuna la prevenzione ha migliorato le cose e non vanno più a fuoco come un tempo… ma il disastro è sempre in agguato: ricordo il tornado del 2001 che si portò via i tetti di mezza Brianza".