MONICA GUZZI
Cronaca

"Le mie Olimpiadi, l’orgoglio di essere lì"

Francesca Rossi, vent’anni con la nazionale di basket, racconta l’avventura di Barcellona ’92. Desiana d’adozione, oggi insegna pilates

di Monica Guzzi

"Arrivare a Barcellona è stata una festa. Ci siamo ritrovate alle Olimpiadi del ’92 da un giorno all’altro, dopo l’estromissione dell’ex Jugoslavia. Eravamo gasatissime". Francesca Rossi sorride riguardando la foto scattata allora con le compagne della squadra nazionale di basket, tutte giovani ed emozionatissime, in posa nella divisa dalle strisce blaugrana disegnata per l’occasione da Mila Schön, all’inaugurazione dei Giochi in Spagna.

Nel corpo forte e asciutto dell’insegnante di pilates desiana d’adozione, donna equilibrata e riservata, batte il cuore appassionato della campionessa: Vent’anni in nazionale, tre scudetti vinti, migliore giocatrice nel ’93. E i ricordi fanno venire i brividi. Uno su tutti: le Olimpiadi. Molto diverse da quelle deserte dei prossimi giorni.

Hai 24 anni, e sei al centro del mondo coi campioni che fino a ieri vedevi in tivù. Il clima di festa con gli altri atleti di Casa Italia, la lavatrice in comune con i calciatori, i gavettoni coi ragazzi della pallamano, la mensa dove può capitare di sedersi a tavola con qualche big. "Eravamo tutte a caccia dei grandi campioni, nel ’92 per la prima volta le Olimpiadi venivano aperte ai professionisti della pallacanestro. Ho visto da vicino Larry Bird e Michael Jordan, ho la foto con Julius Erving, il mitico doctor J". E poi gli scatti con Adriano Panatta e Yuri Chechi, che non gareggiava perché si era rotto il tendine d’Achille.

"Ci hanno chiamate pochi giorni prima, eravamo già tutte in vacanza, nessuna ci credeva veramente. Nell’ex Jugoslavia c’era la guerra e si parlava di una sua possibile estromissione dai Giochi", racconta Francesca Rossi, abituata a confrontarsi fin da piccola con le forti avversarie del blocco sovietico.

"A giugno avevamo vinto le qualificazioni a Vigo per decidere chi sarebbe andato al posto dell’ex Jugoslavia in caso di boicottaggio, poi però sembrava che non se ne facesse nulla". Pochi giorni prima la chiamata, il 22 luglio tutte in Spagna con la sola preparazione delle qualificazioni: "Il 23 abbiamo cominciato ad allenarci a 40 gradi. Soffrivamo il caldo, ma era bellissimo essere lì. Stavamo tutti insieme in questo palazzo da cui si vedeva il mare, a Barceloneta. C’eravamo noi ragazze, non i maschi del basket, ed eravamo orgogliose. Ci lavavamo noi le divise, avevamo la lavanderia a gettone, non l’avevo mai vista prima. I calciatori facevano fatica ad abituarsi alla vita spartana, loro di solito viaggiavano in hotel. Eri nel villaggio olimpico, a tu per tu con miti come Boris Becker o Matt Biondi. venivano tutti a Casa Italia, dove si mangiava meglio, e noi ci buttavamo a caccia del personaggio. Io ero timida, all’inizio non chiedevo foto, temevo di disturbare. Tutta Barcellona era olimpica, ovunque risuonava la musica dei Giochi". Poi l’arrivo al villaggio di mamma, papà e fidanzato, e un’immagine su tutte nel libro dei ricordi: l’inaugurazione e la scalinata per accedere al teatro della sfilata. "Ricordo tutta la delegazione italiana, le nostre divise colorate, i ragazzi americani e i nostri idoli, e davanti a noi i giapponesi con la casacca bianca. Vibrazioni bellissime. Non c’è una fotografia in cui non sorridessimo felici. Era quello lo spirito olimpico. Mi spiace che Tokyo sia a porte chiuse. Le Olimpiadi sono una festa, un modo per unire le persone". Un’esperienza più significativa dal lato umano che del risultato. "Siamo arrivate ottave, se fossimo state più preparate sarebbe andata meglio".

Ma oggi, a 19 anni di distanza, il cuore batte. "Ci sono momenti molto intensi in una vita di squadra, senti delle vibrazioni particolari e fin dall’inizio alcuni episodi creano unione e forza, momenti di grande passione".

Nata nel ’68 a Forlì e cresciuta a Pesaro, città devota al basket, ma anche figlia d’arte (il padre Santo giocava nella Scavolini ed è stato allenatore), con due fratelli altrettanto votati alla pallacanestro, Francesca Rossi ha giocato nella nazionale fino ai mondiali d’Australia del ’94, passando da Ancona (dove ha frequentato il liceo) all’Olimpia Milano (dove frequentava l’università), per arrivare poi a Parma e infine a Como. Dopo diversi infortuni al ginocchio e tre operazioni, nel ’99 ha smesso di giocare. "Abbiamo vinto lo scudetto e mi sono sposata con Piero". E col marito brianzolo vive a Desio da una ventina d’anni: nel 2000 è nata Elettra, nel 2002 Nicolò. "Ho cambiato vita. Ho fatto la mamma e sono uscita dalla pallacanestro. Mai avrei pensato di fare l’insegante di pilates". Donna solida, a casa non ha trofei o fotografie. "Elettra ha saputo qualcosa di più in terza media, quando ha fatto la tesina di sport con me. Quando rivedi le foto ti viene la pelle d’oca. Con le ex compagne c’è un legame forte, anche se non ci si vede. E ci sono momenti vissuti insieme, emozioni che ti restano in un angolo del cuore. Ed è giusto che restino lì".