DARIO CRIPPA
Cronaca

Le 4 giornate di Monza. La rivolta popolare contro gli Asburgo: battaglie, morti e feriti

Un manipolo di duemila persone si impadronì di un treno in stazione per raggiungere Milano e unirsi all’insurrezione per cacciare i dominatori. Tutti i dettagli raccontati dal maggiore al comando degli austriaci.

Le 4 giornate di Monza. La rivolta popolare contro gli Asburgo: battaglie, morti e feriti

Le 4 giornate di Monza. La rivolta popolare contro gli Asburgo: battaglie, morti e feriti

Si narra che quando la popolazione si sollevò, la mattina del 28 marzo 1848, dando inizio alle Cinque giornate di Milano, a Monza uno studente elegante e di buona famiglia imbracciò un moschetto ed estrasse una bandiera tricolore in piazza. Si chiamava Enrico Cernuschi e di lì a poche ore anche Monza avrebbe iniziato le sue “giornate“, L’arciprete Francesco Zanzi ordinò di far suonare le campane di tutte le chiese mentre in cielo comparivano tante piccole mongolfiere di carta velina con un messaggio: "Milano è insorta, accorrete!". Una folla si riversò per strada inveendo contro i dominatori e, nonostante il divieto di assembramento che era stato imposto dagli Austriaci, i rivoltosi si ritrovarono sotto i portici dell’Arengario e, guidati da Gerolamo Borgazzi, occuparono la stazione ferroviaria. Borgazzi sapeva come fare, per anni aveva servito nella Legione straniera. E, approfittando del suo lavoro come ispettore ferroviario, riuscì a radunare un manipolo di 2.000 volontari. Impadronitisi di alcuni convogli, raggiunsero Milano per unirsi alla rivolta. Le prove di coraggio sono riportate dai cronisti dell’epoca. Enrico Cernuschi, insieme al suo maestro Carlo Cattaneo, si distingue sulle barricate.

Borgazzi muore a Porta Comasina, Aristide de Antichi, alunno del collegio Bosisio di Monza, partecipa alla presa di Porta Tosa. Morirà qualche mese dopo, giustiziato a soli 18 anni dagli Austriaci. Intanto il maggiore Francesco Sterchele, alla testa dei soldati austriaci di stanza a Seregno, riceve ordine di raggiungere Monza. Nel corso della notte fra il 18 e il 19 marzo guida in città tre compagnie di soldati croati del reggimento “Barone Geppert”. All’alba stabilisce il comando all’Osteria della Posta Vecchia e dispone le truppe sulla piazza del mercato, il Pratum Magnum, oggi piazza Trento e Trieste. Rafforza i presidi delle due porte rimaste in città: Porta San Biagio, a ovest, e Porta d’Agrate (il ponte di via Bergamo) a est, dotandoli di pezzi di artiglieria. I suoi soldati chiudono i negozi e pattugliano a cavallo le strade del centro rispondendo con il fuoco ai lanci di pietre, mentre viene ordinato l‘arresto di quei cittadini ritenuti colpevoli di fomentare gli animi. La domenica del 19 marzo, all’alba, i muri di Monza si ritrovano tappezzati di manifesti con messaggi minacciosi: divieto di assembramento, chiusura di ogni attività di negozi e botteghe. E coprifuoco. I cittadini furiosi chiedono al podestà Bartolomeo Benaglia di istituire la Guardia Civica ma le lunghe trattative, a cui prende parte anche l’arciprete, finiscono in un nulla di fatto. Il seguito lo racconta il rapporto stilato dallo stesso maggiore Sterchele e diretto al feldmaresciallo Radesky: un folto gruppo di cittadini indice un’assemblea sotto l’Arengario e, sulla piazza "dinanzi al Seminario (il liceo Zucchi, ndr), si raccolsero parecchie centinaia di persone con bandiere nazionali". I soldati strappano le bandiere dalle mani dei dimostranti e disperdono la folla. Sembra tornata la calma, ma "dopo il Vespro" le campane di tutte le chiese riprendono a suonare a stormo. Un capitano riceve l’ordine di farle tacere, ma mentre percorre le vie del centro con due plotoni viene attaccato dalla folla. Gli austriaci aprono il fuoco ad altezza d’uomo.

Sul selciato rimangono cinque cadaveri, molti di più i feriti dalle baionette. Francesco Mazzola, 36 anni, droghiere e possidente, è il primo a cadere colpito da un’archibugiata. Gli altri sono un inserviente di 50 anni, un tintore; un merciaio di 60 anni e un lavorante cappellaio di 43. L’indomani Sterchele riceve di nuovo il podestà e il commissario distrettuale: le autorità civili assicurano che non ci saranno più problemi. Così i soldati che avevano presidiato la piazza per tutta la notte rientrano in caserma. Martedì 21, all’alba, il maggiore viene però informato che dalla via per Lecco si avvicinano alla città 4-5.000 insorti armati di fucili e cannoni da montagna. Sono brianzoli e lecchesi. I militari che si avviano ad affrontarli vengono "assaliti dalla popolazione" che inizia a sparare dalle finestre. Lo stesso Sterchele è circondato e bloccato nel Seminario. Alle 11, il maggiore e i suoi si aprono "un varco in mezzo alla folla", provocando "parecchi morti tra gli insorti", e si ritirano "nel Castello del Vicerè" (la Villa Reale). A quel punto, tra fughe, catture e uccisioni, delle quattro Compagnie austriache (900 uomini) restano 160 soldati. Intanto altri 220 militari lasciati in caserma vengono fatti prigionieri dai monzesi. La città è in mano agli insorti e Sterchele è costretto ad abbandonarla.

A Monza invece si lavora per prepararsi al ritorno degli Austriaci. Nella notte vengono innalzate le barricate. Per realizzarle una squadra viene inviata "a tagliare le piante sulla strada da San Biagio a Lissone, a Muggiò e a Torneamento". Lavorando giorno e notte, vengono realizzate numerose barriere: nel cortile del Municipio, a Porta Nuova, in piazza Santa Maria in Strada, al Carrobiolo, in piazza San Pietro Martire, a Sant’Orsola, al dazio di San Biagio, presso la casa del parroco e sulla strada per Muggiò, sulle strade per Lecco e Concorezzo. Le quattro Giornate di Monza sono ormai terminate. Gli Austriaci si faranno rivedere solo ad agosto,dopo l’armistizio.

Ma ormai i semi della rivolta sono stati piantati.