Il lungo addio dell’arciprete: "Lo confesso, ho dato le dimissioni"

Monsignor Silvano Provasi, al compimento dei 75 anni, ha scritto all’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Si era insediato in Duomo al posto di Dino Gariboldi nel 2007: non si esclude la richiesta di restare.

"La sera del 24 febbraio ho scritto al mio “principale” per rassegnare le dimissioni". Leggero e ironico fino all’ultimo, monsignor Silvano Provasi, al compimento dei 75 anni ha rimesso il suo mandato a quello che, da punto di vista pastorale e amministrativo, è il suo “capo”, vale a dire l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini. Senza fronzoli, senza rumore.

Come aveva fatto a suo tempo, 17 anni fa, Leopoldo Gariboldi, suo predecessore. "Chiamatemi soltanto don Silvano. Gli altri titoli, come quelli di monsignore o arciprete, stanno bene soltanto sulle carte intestate" aveva premesso immediatamente l’arciprete al momento del suo insediamento, il 30 settembre del 2007. Raccoglieva un’eredità pesante, quella di un colosso come don Dino Gariboldi, rimasto 28 anni alla guida del capitolo del Duomo di Monza, una carica speciale con prerogative vescovili, la mitria, il bastone pastorale, e persino il privilegio di una scorta armata (gli Alabardieri) che condivide solo con il pontefice. Silvano Provasi non si era tirato indietro, davanti alla richiesta fattagli dall’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, pur precisando di sentirsi innanzitutto un parroco. Il parroco del Duomo. Nato ad Arconate, oriaveva 58 anni. Ora, 17 anni più tardi, in Duomo a Monza ci si prepara a a cambiare tutto. "Anche se dipende da cosa deciderà l’arcivescovo. La scadenza è a settembre". Non è escluso che a monsignor Provasi venga chiesto di trascorrere qualche mese in più in Duomo. In fondo, anche il suo predecessore era rimasto due anni più del previsto.

Sino ad allora, non parlerà. Monsignor Silvano Provasi mantiene l’understatement e l’umiltà che hanno sempre contraddistinto il suo stile. Sin dal primo momento, quando sul comodino aveva messo due libri. Il primo era una storia di Monza, visto che sentiva come dovere quello di conoscerne a fondo i risvolti, prima di tutto storici, anche se già da 7 anni in città aveva ricoperto il ruolo di vicario episcopale. Il secondo era la Regola pastorale di San Gregorio Magno. Quello che, assieme alla regina Teodolinda aveva avviato la conversione dei Longobardi. Ed è proprio la croce di San Gregorio che il 30 settembre, in Duomo, l’arciprete uscente gli aveva consegnato nel corso della cerimonia di investitura. Durante la sua prima omelia come nuovo arciprete di Monza, del resto, monsignor Silvano Provasi lo aveva detto: "Non conosco ancora abbastanza la storia di Monza, ma prometto che la studierò". E aveva aggiunto: "Vengo sostenuto da un mandato che mi impegna a capire il valore di ricchezza di questa città, vigilando con tutti voi perché non diventi chiusura, divisione, arroganza, incomunicabilità".

E poi un preciso riferimento alla povertà, "che è bene e saggio non nascondere", perché "è meglio progettare la condivisione che costruire continue difese". Nel frattempo, molte cose sono accadute. Il vecchio arciprete emerito e il cardinale Tettamanzi sono morti. C’è stata una pandemia, l’immigrazione si è fatta sempre più significativa, la povertà purtroppo è aumentata. Ma monsignor Silvano Provasi c’è sempre stato, come l’altra settimana alla festa per la rottura del digiuno che da 10 anni vede musulmani e cristiani a una stessa tavola negli oratori della città.