BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Il boom e la rivoluzione dei costumi. La macchina amata da tutte le donne

L’intuizione di Enzo Fumagalli e l’elettrodomestico conosciuto in America

La lavatrice uscita dagli stabilimenti Candy negli anni Settanta

La lavatrice uscita dagli stabilimenti Candy negli anni Settanta

Il vitino da vespa, il vestito elegante, la casalinga perfetta apre la lavabiancheria. È il 1954: la pubblicità di Candy entra nell’immaginario collettivo, simbolo di un’Italia che ha voglia di correre e di emancipazione femminile. Il miracolo economico in un’immagine a meno di 10 anni dalla fine della guerra.

Ed è proprio da un campo di prigionia che è cominciata la storia del marchio. Grazie all’intuizione di Enzo Fumagalli sulle potenzialità di questa macchina che avrebbe cambiato per sempre la vita delle massaie e che vide per la prima volta in America, dopo il conflitto e la cattura. Spedisce i primi schizzi a papà Eden, fondatore di una piccola officina sulle rive del Lambro che si chiama come lui. Nasce così nel 1945 il primo esemplare, la mitica 50. L’azienda verrà ribattezzata nel 1946 con i brevetti. La scelta è quella di un nome esotico mutuato da un motivetto in voga Oltreoceano. A guidare lo sviluppo ci saranno anche i fratelli di Enzo: Niso e Peppino e poi i suoi figli, Aldo e Beppe. Una lunga marcia sempre con il vento in poppa fino agli anni ’80 con nuovi stabilimenti e acquisizioni di brand. Ma anche un profondo impatto sulle famiglie che volevano lasciarsi alle spalle la distruzione e abbracciare l’avvenire.

Allo scoccare del nuovo millennio, il Gruppo contava 2mila operai nei siti italiani, tutti in Lombardia, concentrati in una manciata di chilometri: la Zerowatt di Alzano Lombardo (Bergamo), la Gasfire di Erba (Lecco), la Donora di Cortenuova (Bergamo), la Bessel di Santa Maria Hoè (Lecco) oltre a Brugherio, aperto nel 1961, dove al momento del passaggio ad Haier, nel 2018, c’erano 500 tute blu e quasi altrettanti colletti bianchi. E mentre dismetteva in Italia, Candy non smetteva di aprire nell’Est Europeo e di fare shopping nel mondo: dalla russa Vyatka alla turca Süsler per finire con la cinese Jinling.

Una crescita che ha segnato il passo dal 2008, fino all’addio dieci anni dopo con l’arrivo della nuova proprietà che stacca un assegno di 476 milioni per assicurarsi il gioiello degli elettrodomestici che ha nel Dna quell’“italianità“ che va forte nel mondo. Un passepartout di stile ed eleganza che rende. Dopo 80 anni la produzione cessa, ma il brand continuerà a essere una bandiera globale.

Bar.Cal.