DARIO CRIPPA
Cronaca

Caccia al renitente di Monza... ma era morto in guerra

Incredibile caso nel 1970: la madre del soldato, partito per la Grecia, piangeva il figlio da anni ma gli uffici di leva non lo sapevano

Monza, 5 aprile 2020 - Possono accadere cose inconcepibili a volte. All’improvviso alla porta possono bussare due carabinieri, un foglio stropicciato in mano che dice che tuo figlio è un poco di buono, ha violato la legge, è un ricercato. E deve pagare i conti con la Giustizia. Eppure sai che non è vero, non può esserlo. Perché tuo figlio – purtroppo – è morto tanti anni fa e quella in cui rischi di rimanere stritolato è solo una cieca maglia della burocrazia.

Una vicenda incredibile accade a Monza nel 1970, quando sulle scrivanie dei carabinieri di Monza arriva, da qualche polveroso ufficio del Tribunale, una richiesta: bisogna rintracciare e arrestare un giovane colpevole di “renitenza alla leva”. Peccato che il giovane in questione ormai di anni ne avrebbe quarantacinque e la sua mancata risposta alla chiamata alle armi dati a quasi venticinque anni prima, al 1944. E soprattutto, peccato che il giovane in questione in guerra un realtà ci era andato e... ci era pure morto. Il protagonista di questa grottesca e dolorosa vicenda si chiama(va) Giannino Galbiati. Classe 1925, viene iscritto nelle liste comunali di leva ma alla chiamata alle armi, verosimilmente ricevuta nel 1943, al compimento del diciottesimo anno, non si presenta e diventa ufficialmente un ricercato.

La verità è però un’altra: Giannino, monzese purosangue, nato il 2 settembre 1925, era tutt’altro che renitente. Anzi, era addirittura partito volontario per la Grecia, dove era stato aggregato al 54° reggimento fanteria. E si era ritrovato a combattere in uno scenario critico e confuso. La campagna d’Italia era già naufragata, in Grecia c’erano ormai le truppe tedesche, e la storia di soldati partiti quasi allo sbaraglio come lui può ricordare - a tratti - quanto narrato in film come Mediterraneo di Gabriele Salvatores. Quando andava bene. Oppure poteva finire in tragedia. Per Giannino Galbiati era andata proprio così.

La notte del 30 giugno 1944 la compagnia di cui faceva parte era stata divisa in due gruppi: il primo era stato inviato in montagna nei pressi del fronte greco-albanese, l’altro, a cui apparteneva Giannino, era invece rimasto al campo base. Ed era stato proprio in quella notte che i partigiani greci avevano teso un’imboscata al contingente italiano. Sorpresi nel sonno, i soldati italiani erano stati trucidati senza possibilità di scampo. La morte del giovane era stata comunicata a sua madre a Monza da alcuni commilitoni che le avevano spedito una lettera con la ferale notizia direttamente dall’isola di Lero, nel Dodecaneso. Una lettera che la signora aveva custodito gelosamente e sulla quale aveva versato fiumi di lacrime. La notizia aveva ricevuto successivamente una seconda conferma, ufficiale, quando anche un colonnello tedesco avevo inviato una missiva alla quale aveva accluso alcuni effetti personali del giovane soldato italiano. Terminato il conflitto, la mamma del giovane aveva fatto le pratiche necessarie per ricevere la pensione di guerra. Le era stata riconosciuta nel 1946. Per anni aveva percepito una somma di dodicimila lire, salita nel tempo sino alla cifra di ventisettemila lire.

Una prova incontrovertibile, una certezza in più a corroborare la circostanza che purtroppo la sorte del figlio era stata proprio quella comunicata. Sino a quando non ci si era messa di mezzo la burocrazia. Si dà il caso infatti che la morte di Giannino Galbiati non fosse stata registrata all’ufficio provinciale di leva di Milano, dove del resto non era stato mai registrato neppure il suo arruolamento come volontario. Ecco dunque la ragione che aveva fatto sì che a fianco al suo nome era stato scritto all’epoca “renitente alla leva” . Un marchio perdurato per anni. Sino a quando qualche impiegato particolarmente solerte aveva letto le carte e aveva fatto pervenire ai carabinieri di Monza l’incarico di rintracciare quel giovane ingiustamente registrato come renitente. Fortunatamente, alla fine la verità era saltata fuori: era bastato un controllo in municipio per stabilire che Giannino Galbiati era innocente. Morto, da ventisei anni. Mentre combatteva una guerra sbagliata, certo. Ma non mentre sfuggiva ai propri doveri.