ALESSANDRO SALEMI
Cronaca

Cosa vuol dire essere giovani nella “ricca” Brianza, tra lavori squallidi e paghe miserabili

Le voci di studenti e laureati tra occupazione, casa e luoghi di ritrovo: “Occupazione precaria e affitti alle stelle: costretti a scappare dalla provincia”

Una scena dal film Il Capitale Umano di Paolo Virzì, ambientato in Brianza

Una scena dal film Il Capitale Umano di Paolo Virzì, ambientato in Brianza

Sono “insoddisfatti”. Quando pensano alla qualità della vita e del lavoro a Monza e in Brianza, i giovani perdono il sorriso: precarietà, salari bassi e insufficienti per essere autonomi e pochi luoghi di aggregazione. Anche l’ultima indagine del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, alla voce “Giovani” (tra 18 e 35 anni) non fotografa una situazione rosea: la Brianza è al 66° posto su 107 province italiane, con alcuni parametri preoccupanti: è 45esima per giovani che non studiano e non lavorano, 64esima per amministratori comunali under 40, 103esima per numero di matrimoni, 97esima in concerti e 103esima per bar e discoteche.

Uno scenario che si legge anche nelle storie dei giovani brianzoli. Come Andrea, 33 anni di Triuggio, in tasca una laurea magistrale in Scienze politiche e un lavoro (da precario) in una startup. "Ho iniziato a lavorare a 20 anni, cambiando nel tempo 13 posti di lavoro – racconta –. In quasi tutti ho trovato ingiustizie e iniquità: salari bassi, contratti che non prevedono diritti e contributi, trattamenti lavorativi pessimi. E tutto questo nella ricca Brianza".

Da qui qualche esempio: "Trovare la prima esperienza di lavoro a 20 anni è stata un’odissea. Sono pochissime le aziende che ti formano, la maggior parte cerca persone già con esperienza. I contratti che vengono dopo sono stage o tirocini di sei mesi, un anno, dove l’effettiva formazione è di una settimana e poi è lavoro pieno a tutti gli effetti, sottopagato. Ho provato a lavorare full time a meno di 700 euro al mese".

"Spesso gli ambienti di lavoro sono squallidi – aggiunge –. Poca è stata la differenza tra settori di lavoro: ristorazione, vendita, distribuzione. Quasi sempre non sei trattato con rispetto. Non fatico a capire perché molti giovani stanno scappando dalla Brianza: io ho tanti amici che sono andati a Londra, in Svizzera, in Spagna, in Germania, uno negli Stati Uniti. Lì sanno di essere molto più valorizzati".

Paola è invece una ragazza di 28 anni di origini calabresi, che da 10 anni vive in Lombardia e da 2 e mezzo a Monza. "Nel mio ambito di lavoro, quello interculturale, la situazione è difficile – racconta con sconforto –. Io sono laureata in Scienze antropologiche ed etnologiche e so cinque lingue: arabo, tedesco, inglese, spagnolo e portoghese. Ma la richiesta è poca, mi vengono offerti tirocini sottopagati o contratti di collaborazione anch’essi mal pagati e senza tutele. L’offerta di Monza e Brianza è scarsa, bisogna per forza cercare a Milano".

“Nei luoghi di lavoro soffro tanto l’essere giovane – rimarca decisa –. Io faccio anche ricerca, scrivo articoli accademici, ma per fare lavoro di revisione articoli mi vengono preferite persone che non hanno le mie stesse competenze, solo perché io sono più giovane. È frustrante. Percepisco il timore di chi è più grande di essere scalzato dai giovani". Se per chi è in età da lavoro la situazione è spiacevole, non di meno lo è per gli universitari.

Federico è di Monza, ha 20 anni e studia Scienze politiche a Milano. "La qualità della vita a Monza per un ventenne non è ottima – chiarisce subito –. Questo soprattutto perché mancano luoghi di ritrovo per giovani, che siano per studiare o per stare insieme. Le aule studio sono solo in centro, mancano nelle periferie. I pochi contesti di socialità, come i centri sociali, sono sempre chiusi e ostacolati. Per dei giovani è davvero difficile organizzarsi e creare eventi".

Poi la riflessione, che è anche un appello: "Percepisco sconforto nei miei coetanei. La voglia di fare comunità c’è, ma questa nostra volontà non viene intercettata. Questo non è più un Paese per giovani. Uno spazio aggregativo aiuta le persone a pensare, a sviluppare il dialogo, la creatività, nuove soluzioni. Se i giovani avessero modo di mettersi insieme potrebbero cambiare questa società e superare questo modello di individualismo".