Dubbi sul metodo mafioso: da rifare il processo al clan

La Cassazione annulla la sentenza d’Appello che aveva riconosciuto l’aggravante dell’associazione a delinquere per i cugini Cristello

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di Stefania Totaro

Torna in discussione l’aggravante dell’associazione di stampo mafioso per gli imputati dell’ultima grossa operazione ritenuta anche l’ennesimo colpo contro la ’ndrangheta in Brianza. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano, rimandando indietro ai giudici per un processo bis, sull’indagine della Direzione distrettuale antimafia culminata nell’operazione Freccia, eseguita nel giugno 2020 dai carabinieri di Monza e tornata a riaccendere il faro su alcune famiglie originarie di Vibo Valentia accusate di gestire le cosche radicate a Seregno dopo la scure dell’inchiesta Infinito. Nel processo con il rito abbreviato il gup del Tribunale di Milano aveva emesso sedici condanne fino a 14 anni di reclusione, ma non per associazione di stampo mafioso, mentre l’accusa aveva chiesto condanne fino a 20 anni di carcere, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso per i cugini Umberto e Carmelo Cristello e Luca Vacca. In appello invece la Corte milanese aveva ribaltato la sentenza, riconoscendo la sussistenza dell’associazione mafiosa e portando a 17 anni, 9 mesi e 10 giorni la condanna a Umberto Cristello, 9 anni al cugino Carmelo e 9 anni e 5 mesi a Luca Vacca. E accogliendo la tesi della Procura secondo cui bastava pronunciare il nome Cristello per fare intendere alle vittime con chi avevano a che fare. E se non fosse stato sufficiente, intervenivano intimidazioni e violenze, precedute da tentativi di mediazioni che spesso gli uomini di ‘ndrangheta utilizzano per prendere contatto con chi vogliono assoggettare.

Ora però, su ricorso degli imputati, la Cassazione ha rimesso tutto in discussione, rimandando indietro il fascicolo ad un altro collegio della Corte di Appello di Milano per confermare o negare l’ipotesi che la cosca non ha mai smesso, dai tempi della prima inchiesta Infinito, di esercitare il controllo del territorio, in particolare questa volta fra Seregno, Meda e Giussano. Tra loro spiccava Umberto Cristello (in possesso di una dote elevata nella ‘ndrangheta conferitagli a suo tempo dal fratello Rocco, ucciso nel 2008 a colpi di pistola sotto casa a Verano), che secondo l’accusa "si avvaleva della forza di intimidazione derivante dalla sua notoria appartenenza alla ‘ndrangheta e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche". "Non basta chiamarsi Cristello per appartenere a un’associazione mafiosa", si era difeso al processo Carmelo Cristello, sostenendo di essere già stato assolto dall’associazione mafiosa nel processo per la precedente inchiesta Ulisse che lo riteneva appartenente alla Locale di ‘ndrangheta di Seregno.