DARIO CRIPPA
Cronaca

Don Flavio Pace: "Cristiani perseguitati e Islam: sì al dialogo"

Il sacerdote di Monza è stato scelto dal papa per il delicato ruolo di sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali

Don Flavio Pace

Monza, 5 febbraio 2020 - Esperto di Islam (ha una certificazione in islamistica al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica a Roma), si occupa da quasi dieci anni dei problemi (e delle sofferenze) delle chiese orientali. E da adesso, su nomina di papa Francesco, lo farà con l’importante e delicato ruolo di sottosegretario della Congregazione per le Chiese Orientali. Stiamo parlando di don Flavio Pace, un (ex) ragazzo dello Zucchi di Monza, 42 anni. Ordinato sacerdote nel 2002 con l’allora arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, trascorre nove anni ad Abbiategrasso. Ed è lì che la sua vita conosce la prima svolta. Il mondo islamico comincia ad affacciarsi prepotentemente in Italia e "il parroco, con grande apertura mentale, decise che bisognava farsi trovare pronti. In un clima di grande scetticismo, iniziammo a organizzare incontri con i Musulmani, scambiandoci esperienze su temi come il Natale o il Ramadan".

Il cardinale Dionigi Tettamanzi, neo arcivescovo di Milano, intuì che era la strada giusta. "Voleva che sul territorio ci fossero persone che potessero dialogare col mondo islamico. E mi chiese di fare uno studio suppletivo: per tre giorni alla settimana, venni inviato a Roma per un corso intensivo sull’Islam". Non basta. "Nel 2006 rimasi molto colpito dalla morte in Turchia di un sacerdote italiano, don Andrea Santoro, ammazzato in una chiesa a Trebisonda. Compresi la necessità di aprire una finestra sul Medio Oriente. E chiesi di andare in Turchia". Ma... "Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, chiese aiuto alla Diocesi di Milano, gli serviva il sacerdote “più orientale” a disposizione. E Tettamanzi mi inviò dicendomi: “La tua Turchia sarà Roma”. Dal 2011 sono là". Anni intensi... "Dobbiamo tenere i rapporti con le chiese orientali - maronite, caldee, copte e così via - che mantengono la propria tradizione e i propri riti pur riconoscendo il primato del papa. Ciascuna con le proprie esigenze e i propri problemi. Entrare nell’ufficio della Congregazione significa entrare nel Mondo, con ucraini, slovacchi, libanesi, americani, libanesi, egiziani, bulgari... È un mondo antichissimo.", E in sofferenza. In Medio Oriente i Cristiani patiscono attentati e vessazioni... "Vero, ci sono molte sofferenze. L’approfondita conoscenza del mondo islamico che ho maturato serve anche a entrarci in contatto". Perseguitati e persecutori... "Essere andati a esportare la democrazia ha portato tanti guai". E i Cristiani Orientali sono in mezzo. "L’unica soluzione è il dialogo, che non è solo quello nel chiuso degli uffici ma anche sul campo. In questi anni ho viaggiato parecchio, sono stato in Iraq, in Libano dieci volte, in Israele, Egitto, Etiopia, Turchia... Ci sono comunità cristiane che convivono da secoli in queste terre a volte anche faticosamente. Occorre far prevalere un principio di sana laicità, tutti i cittadini di questi Paesi desiderano il bene comune. Anche i Musulmani. E il mio background mi aiuta a comprenderli". I Cristiani in quei posti sono spesso perseguitati. "Non solo con la violenza. I Cristiani d’Oriente non vogliono essere considerati una minoranza, non vogliono vivere in un sorta di riserva indiana. Si sentono e vogliono essere considerati come cittadini di quei Paesi a tutti gli effetti". Non è semplice. "C’è un dramma della sofferenza, ma quando entri nei campi profughi a colpirti è il dolore, non certo la carta confessionale della gente che incontri. Il fondamentalismo è solo una parte minoritaria dell’Islam, e va modificato nel tempo, predicando una convivenza pacifica". Ce la si può fare? "Ce la dobbiamo fare. Il dialogo è importante, accogliendo le fatiche di entrambe le comunità. L’uomo ha sempre un desiderio di bene, è una speranza radicata nel credente, anche islamico". Ha paura a mettere piede in certi territori? "Sono consapevole di essere in un contesto delicato ed esposto al rischio, anche se sicuramente è peggio per chi lì ci vive davvero". La morte è dietro l’angolo... "Nel 2012 mi trovavo in Iraq, di Isis ancora non si sentiva parlare e andammo in una moschea che riuniva tutte le confessioni islamiche. E udimmo il fragore di diverse autobombe che esplodevano lì vicino. Non erano rivolte a noi, ma quel fragore mi rimase dentro. E anche all’ultimo Veglione di Capodanno, udendo i botti dei petardi, non potei fare a meno di pensare a quel giorno e a quella autobombe che in alcuni Paesi sono la quotidianità".