"Così oscuro l’infelicità". Felice Battiloro l’artista autodidatta che colora il mondo

Dopo la povertà, la solitudine e la morte del padre è riuscito a rinascere grazie alle opere vendute sui social e al Van con cui ha girato l’Italia. Apprezzatissimo anche all’estero e protagonista di “live painting”.

"Così oscuro l’infelicità"  Felice Battiloro  l’artista autodidatta  che colora il mondo

"Così oscuro l’infelicità" Felice Battiloro l’artista autodidatta che colora il mondo

Quando incontri Felice Battiloro non puoi non notare subito due cose: i tatuaggi di cui è ricoperto e che sorride sempre. Ti accoglie nella sua minuscola bottega d’arte (B.Art Contemporary Art) al centro di via Bergamo. All’ingresso un’insegna avverte: “Finché hai il coraggio, la

tenacia e l’ambizione, puoi diventare ciò che vuoi”. Dentro, le pareti ricoperte di dipinti, volti di donna che ti guardano con labbra grandi, frasi ad affetto ma niente occhi. Sembra ancora un ragazzo, Felice Battiloro, ma si vede che ha molto sofferto anche se in mezzo ai suoi dipinti ha trovato il suo equilibrio.

A gennaio, all’Expo internazionale di arte contemporanea di Parigi ha piazzato in poche ore i suoi dipinti in Germania e Svizzera. A Monza si è trasferito da un paio di anni. Una vita irrequieta. Felice ne parla senza problemi, "non fingo, se l’arte finge ha fatto flop". Un passato burrascoso, tanta solitudine, la scuola fermatasi alla terza media. L’arte da autodidatta. Come pennelli quelli da imbianchino del padre. "Non costavano nulla. A 18 anni sono andato via di casa, con voglia di riscatto, ambizione e di trovare il proprio io senza cadere mai in giri che potessero ulteriormente danneggiarmi. Ho visto tanti amici cadere, ricordo i pranzi di Natale con la “pastina”: lì capii che volevo tutto ciò che mi è mancato. L’arte mi ha salvato, è sempre stata la mia alternativa, il mio sfogo".

La svolta?

"Quando mi hanno chiamato dall’ospedale dicendomi che mio padre era grave".

Un male carogna.

"Aveva tre mesi di vita. Non potevo lasciarlo solo. Avevo aperto un negozio di tattoo: l’ho mollato e mi sono trasferito a casa sua. Fino alla fine".

E poi?

"La mia rinascita. Sono partito con un Van e ho messo in vendita tramite social le mie opere, dedicate appunto alla scomparsa di mio padre, un po’ come se volessi tramettere il coraggio di vivere alle poche o tante persone che mi seguivano".

La sua fortuna.

"Mi son fermato a Monza, ho visto questo spazio e ne ho fatto la mia casa".

In un angolo, una lettera della mamma e un ricordo di papà.

"Dopo la sua morte, ho capito che la più grande ricchezza è il tempo. Puoi essere la persona più ricca del mondo, ma senza il tempo rimarrai sempre povero. Non fumo, non bevo, non ho vizi, mi bastano pochi euro per vivere: per me è sufficiente mettermi per terra e dipingere".

Cosa dice con le sue opere?

"Non abbiate paura di abbracciare i vostri genitori, anche quando sembrano lontani è solo perché vivono in un’altra dimensione rispetto alla nostra. Ho sempre avuto dei grandi orecchini, mio padre li detestava. Tre giorni prima che morisse non li avevo messi, lui se ne accorse e mi chiese dove fossero: ormai gli piacevano, lo avevo portato nel mio mondo".

Ha vissuto momenti difficili.

"Ma sono rinato e cerco di trasmetterlo: con la mia arte racconto la mia storia, le persone ci ritrovano un pezzo di me. L’arte deve smuovere, fermare il tempo e porti delle domande. Un uomo di successo è talequando ha capito la sua essenza. Ho vissuto la solitudine, la povertà, le scarpe bucate da ragazzino e tutto questo mi ha messo davanti a un bivio in cui o ti perdi o rinasci e lasci un segno. Io ho scelto questo".

Cosa cerca ora?

"Quando dipingo soffro: ecco, vorrei dipingere senza farmi condizionare dal passato. L’arte è comunicazione: ai ragazzi che vengono anche dall’Accademia di Brera per chiedermi consiglio, dico sempre di studiare, io non ho potuto".

Sorride sempre?

"Eppure a volte mi dicono che in me c’è un filo di malinconia, che dovrei essere contento, in fondo ho esposto da divere parti, oltre che in Francia anche a Milano, Genova, Belgioioso, Padova. So che dentro sono felice, ma non ho superato ancora tutta la mia sofferenza, anche se le sono grato perché mi ha consentito di essere chi sono".

La felicità?

"Quando mi accorgo che sono riuscito a dare coraggio a qualcuno. Non sono nessuno, ma voglio dare speranza a chi ha perso il coraggio".

Su instagram è seguitissimo.

"Quando sono venuto a Monza ho organizzato diverse esperienze di live painting: dipingo in mezzo alla strada, mentre qualcuno suona il violino o il pianoforte (ieri era in via Carlo Alberto). Prima di esporre a Parigi avevo già preparato tutte le mie tele da portare, ma mi sono accorto che non mi soddisfacevano: le ho passate tutte con il rullo da imbianchino e le ho ridipinte di notte".

Sa anche regalare.

"Un giorno una bambina si è fermata e mi ha offerto un braccialettino in cambio di un quadro. Suo padre qualche giorno dopo è venuto a ringraziarmi, sua figlia aveva una malattia della pelle e faticava a comunicare, ma si era fidata di me".

Perché i suoi ritratti non hanno occhi?

"È un mio codice: la mia missione è oscurare l’infelicità, forse è per quello che non possono esserci occhi aperti nelle mie opere. Il mio consiglio è di non attendere una tragedia per sbloccarti".

Per lei non è andata così.

"Nella mia vita non potevo sbagliare, doveva esserci un riscatto, questo mio andare sempre veloce mi ha lasciato un terribile senso di colpa nei confronti di mio padre: avevo la convinzione che avrei potuto fare qualcosa per la sua malattia ma non ci sono riuscito. Se posso aiutare una persona è la mia vittoria più grande".

Ha donato i suoi dipinti ai ragazzi autistici di FacciaVista per coprire le scritte dei writer in città.

"Mi dà fastidio chi imbratta, e con quei ragazzi si è creato subito un rapporto speciale, si sono fidati di me".