ALE. CRI.
Cronaca

Violenza giovanile, la pedagogista Piccione: "Con una lama si illudono di essere più forti"

L’esperta sottolinea l'importanza dell'educazione al rispetto e alla diversità: “Si educa soprattutto con l’esempio. Debole è chi minaccia, chi esclude, chi ferisce a parole o con il corpo e con le armi”

La pedagogista Silvia Piccione affronta il tema della violenza giovanile, sottolineando l'importanza dell'educazione al rispetto e alla diversità. Critica le istituzioni e analizza le dinamiche delle baby gang, evidenziando la necessità di guidare i ragazzi verso valori positivi.

La pedagogista Silvia Piccione affronta il tema della violenza giovanile, sottolineando l'importanza dell'educazione al rispetto e alla diversità. Critica le istituzioni e analizza le dinamiche delle baby gang, evidenziando la necessità di guidare i ragazzi verso valori positivi.

Ha a che fare tutti i giorni con i minori. Nel suo studio, dove svolge l’attività di pedagogista, anche come presidente di Anpe Lombardia (Associazione Nazionale Pedagogisti). E nel tribunale minorile di Genova, dove è giudice onorario. Da anni, la dottoressa Silvia Piccione, ne studia e gestisce le evoluzioni.

Come si può e si deve agire di fronte a questo dilagare della violenza giovanile?

"Educando. Al rispetto, all’affettività, al riconoscimento delle emozioni, alla diversità e inclusività, alla parità di genere, partendo dalla famiglia per fare rete con la scuola. Si educa con l’esempio".

E le istituzioni?

"Sono assenti e non sono un buon esempio. In tv si vedono scene orribili di mancanza di rispetto. Inoltre non investono nella scuola".

Cosa significa e cosa trova un ragazzo oggi in un gruppo, che a volte si trasforma in gang?

"Parliamo di bullismo da parte di uno o più contro quelli che loro reputano deboli. È tutto al contrario: debole è chi minaccia, chi esclude, chi ferisce a parole o con il corpo e con le armi. Un ragazzo debole ha bisogno di allearsi con altri ragazzi deboli, insieme pensano di essere forti ma in realtà è un’illusione".

Come è possibile che sia così sdoganato ormai andare in giro con un coltello e, da certe parti, anche un’arma?

"Baby gang dal coltello facile, bullismo e cyberbullismo, videodipendenza, indifferenza, egoismo, assenza di valori: tutto ciò significa un quadro allarmante di una violenza spesso cieca e del tutto immotivata. Ragazzi alla continua ricerca di emozioni forti che solo l’aggressività sembra garantire. Andare in giro con un coltello fa sentire spregiudicati e forti ma sono solo senza scrupoli. Se interrogati sui loro comportamenti i ragazzi non mostrano vergogna o pentimento, ma una sorta di ingenuità, come se non si rendessero conto della gravità della trasgressione. Come se non fossero consapevoli del mondo intorno, dell’altro, della necessità di condividere codici e regole. Dobbiamo aiutarli a crescere”.