
di Barbara Calderola
Prima erano i brianzoli ad andare a Milano a curarsi, ora a Vimercate arrivano da tutto il Paese. Il passaparola è scattato dopo l’investimento dell’Asst sulla chirurgia del fegato, che ha ingranato la quarta con l’arrivo del primario Christian Cotsoglou. È lui ad aver portato sul territorio l’esperienza maturata in anni di attività all’Istituto tumori e ad aver fatto crescere l’équipe che ora mette il cappello su un traguardo importante: 100 interventi di tumore, non solo al fegato ma anche al pancreas e alle vie biliari, fino a poco tempo fa patrimonio esclusivo dei grandi reparti oncologici della metropoli.
Adesso, invece, anche la provincia si è conquistata un posto al sole, lo confermano i numeri: il 30% dei malati arriva da altre province, un altro 15 da tutta Italia. Una fama costruita giorno dopo giorno, operazione dopo operazione con l’avvio del piano in uno dei momenti più complicati della nostra storia: il cambio di passo infatti è iniziato a gennaio 2020 e non si è fermato neanche quando gli ospedali erano blindati per respingere il Covid. Non c’è stato lockdown per chi era grave, "sono sempre entrati in sala operatoria", ricorda la direzione. Nel 5% dei casi non ce n’è stato bisogno perché Cotsoglou e il suo staff hanno utilizzato la termoablazione, che non richiede il bisturi, "ma è possibile solo in poche situazioni", spiega il primario. Massiccio anche il ricorso alla laparoscopia che "riduce notevolmente degenza e rischio di infezioni accorciando la convalescenza".
E sulle cartelle più complicate la tecnologia ha dato una mano con la ricostruzione in 3D del fegato, "una copia esatta dell’organo perfettamente sovrapponibile – ricorda Cotsoglou – così possiamo superare le anomalie anatomiche e vedere come agganciarci i tessuti vicini". L’anno scorso il rendering tridimensionale ha salvato una mamma di 48 anni approdata nel reparto brianzolo dopo una diagnosi di cancro difficile da accettare: tumore di Klatskin.
Gli specialisti che l’avevano in cura avevano scartato l’ipotesi dell’intervento, troppi i rischi a fronte di benefici incerti, e le avevano consigliato un mix di chemio e radioterapia, ma senza la prospettiva di una vera guarigione. Qui, invece, la massa è stata tolta per intero ed è stato ricostruito il collegamento con il resto dell’apparato digestivo per permetterle di mangiare normalmente, "salvaguardare la qualità della vita è essenziale – conclude il primario – un obiettivo che non perdiamo mai di vista".