
di Stefania Totaro
"Sono del Tribunale di Milano, la sua parrocchia ha un grosso debito per un contenzioso giudiziario su abbonamenti a riviste delle forze dell’ordine non pagati, lo può chiudere facendo un piccolo bonifico". Era solo una truffa, ma nella rete sono finiti una mezza dozzina di preti di vari parti d’Italia. Questa almeno è l’accusa di cui ora devono rispondere 10 persone, tutte residenti tra Brugherio e Cologno Monzese, imputati in un processo al Tribunale di Monza. L’ennesima vicenda relativa a call center organizzati per intimidire le vittime a colpi di mail e telefonate puntando sullo spauracchio di un abbonamento firmato anni prima a favore di riviste specializzate relative a carabinieri, polizia e guardia di finanza.
Magari comprando l’elenco di nominativi da vecchie liste di abbonati a riviste realmente in passato sottoscritti. L’ultima vicenda arrivata alla sbarra riguarda episodi accaduti tra il 2015 e il 2016. E questa volta tra le parti offese (in pochi si sono costituiti parti civili) ci sono anche dei sacerdoti in varie parti di Italia, da Sora in provincia di Frosinone, a Vallecrosia in provincia di Imperia, Carasco in provincia di Genova, Verbicaro in quel di Cosenza, Ragusa, Vieste, Bussoleno nel Torinese e Bosisio Parini nel Lecchese. Prelati scelti non si sa come e perché, ma comunque non perché anziani e sprovveduti, visto che si trattava di quarantenni all’epoca dei fatti. Trentaquattro i capi di imputazione contestati dal pm della Procura di Monza Salvatore Bellomo (foto) sulla base delle indagini fatte da Fiamme gialle e Polizia di Stato in seguito al racconto dei pochi che hanno sporto denuncia. Tra coloro che sono caduti nella presunta truffa non solo preti, ma anche imprenditori e semplici cittadini. E pure una ipovedente vedova monzese di 90 anni. "Suo marito aveva sottoscritto un abbonamento a una rivista militare che non ha mai disdetto, se non paga rischia di essere arrestata", ha raccontato al telefono il fantomatico avvocato Marangoni all’anziana nel 2016, spingendola a versare 750 euro complessive con due ricariche su una postepay. Ai malcapitati arrivavano ripetute telefonate da finti giudici, avvocati, dottori dell’Agenzia delle Entrate, marescialli della Guardia di Finanza. Oppure mail dall’Agenzia Crediti Editoriali, o da società di recupero crediti, o ancora mostrando mandati firmati a un Ufficio di mediazione nazionale per recuperare crediti pari a diverse migliaia di euro. Allo scopo di farsi bonificare somme anche fino a 3mila euro per chiudere l’inesistente contenzioso giudiziario.