Autoriciclaggio con fatture false Gli imputati chiedono di patteggiare

I 12 coinvolti nell’inchiesta della guardia di finanza hanno optato anche per accedere a riti alternativi. Nei guai una storica famiglia di rottamai che con i complici aveva ideato un sistema per frodare il fisco

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di Stefania Totaro

Hanno tutti chiesto il patteggiamento o il processo abbreviato i 12 imputati per il presunto traffico di fatture false con autoriciclaggio da 57 milioni di euro verso compiacenti società estere, tra cui per la prima volta appare anche la Cina. I pm della Procura di Monza Salvatore Bellomo e Sara Mantovani avevano firmato il giudizio immediato chiedendo di mandare subito a processo i destinatari di ordinanza di custodia cautelare dell’operazione denominata “Ironfamily”, dal coinvolgimento della famiglia Ricco, rottamai da generazioni a Desio, con l’arresto di quattro fratelli.

Ma ora tutti hanno scelto di evitare di affrontare il dibattimento chiedendo riti alternativi davanti al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Monza Marco Formentin, che entrerà nel vivo a gennaio. Le accuse contestate sono a vario titolo associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e autoriciclaggio. L’inchiesta della guardia di finanza di Seregno è partita dopo un controllo in un’azienda di Desio, segnalata per operazioni anomale. Un’indagine che avrebbe portato alla luce l’inquietante evoluzione di questo sistema di evasione fiscale con la destinazione dei soldi ‘sporchi’ non più nei cosiddetti ‘paradisi fiscali’ in Paesi esotici e neanche la triangolazione con la Svizzera e il Regno Unito. Ma l’ingresso di nuovi Paesi in Europa, come Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria ma soprattutto il coinvolgimento di società della Repubblica Popolare Cinese. Nel caso concreto di questa indagine il sistema fraudolento prevedeva: emissione di fatture false da parte di imprese italiane fittizie, saldate (dai clienti utilizzatori delle fatture) con pagamenti a società ‘cartiere’; bonifico degli importi ricevuti a imprese cinesi e infine prelievi in contanti dai conti esteri e successivo trasporto per il rientro in Italia, mediante corrieri, delle provviste di denaro, al netto della “commissione” per l’illecito servizio di “schermo fiscale” reso, pari al 2% di ciascuna transazione. A fine marzo scorso erano scattati gli arresti. Per i Ricco finiti in carcere ora la misura cautelare è diventata quella degli arresti domiciliari. L’inchiesta vede altri 85 indagati.

Alcuni di loro, però, nel frattempo, si sono rivolti al Tribunale del Riesame di Monza contro i sequestri patrimoniali, ottenendo indietro somme fino a 2 milioni di euro, soldi che andranno restituiti, perché le difese degli indagati hanno provato che non erano false le fatturazioni contestate ma per operazioni commerciali reali nel settore dei rottami ferrosi. Alcuni fatti inoltre si avviano verso la prescrizione perché ormai risalenti nel tempo.